Covid, idrossiclorochina addio: «Contro il virus usiamo un farmaco anti Ebola»

Martedì 17 Novembre 2020 di Luca Benedetti
Covid, idrossiclorochina addio: «Contro il virus usiamo un farmaco anti Ebola»

PERUGIA Dalle mascherine introvabili, durante il primo picco della pandemia, ai guanti che nelle scorse settimane erano diventati un bene primario, fino al cambio dei medicinali per combattere il Coronavirus. Molto, se non tutto, passa per la farmacia interna di un ospedale. Ora anche il rifornimento dell’ospedale da campo dell’Esercito. E diventa un punto di osservazione privilegiato per capire come combattere la sfida alla pandemia. Alessandro D’Arpino è il direttore della farmacia del Santa Maria della Misericordia e vice presidente nazionale del Sifo, la Società italiana di farmacia ospedaliera. 

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Dottor D’Arpino, a marzo non si trovavano le mascherine. Qualche settimana fa si era a corto di guanti. Cosa è cambiato tra la prima e la seconda ondata sul fronte degli approvvigionamenti ospedalieri?
«Se rispetto alla prima ondata eravamo impreparati su due fronti, ora solo su uno ci troviamo un po’ indietro.

Mi spiego. In un ospedale a volte è difficile comprare anche uno spillo. E approvvigionarsi, visto che c’è da rispettare il Codice degli appalti, quando c’è un’emergenza non è una cosa facile. Il caso che tutti ricordano è quello della mascherine. Fpp2 o Fpp3 che fossero, scarseggiavano. Adesso siamo in una fase in cui non siamo colpiti di sorpresa, c’è meno carenza di materiali sul mercato, però può essere utile, pur ritenendo importantissimo il Codice degli appalti, che vi sia, su quel fronte, un po’ più di elasticità».

Adesso, però, soffrite per i guanti.
«Tutti cercano quelli in nitrile. C’è stata un grande richiesta e siamo andati un po’ in difficoltà. Ecco perché è stato chiesto al personale un’attenzione speciale per limitarne l’uso dove non c’era un’evidenza utile secondo linee guida nazionali e internazionali. Li abbiamo sempre acquistati, tanto è vero che non sono mai mancati, come non è mai mancato nulla durante la prima fase. C’erano solo momenti in cui le scorte si assottigliavano».

D’Arpino, ma quanti guanti usa un ospedale come quello di Perugia?
«Nei periodi di picco del Covid-19 si è arrivati anche a un milione e mezzo al mese. Stiamo tornando a quei livelli».

E di gel disinfettante?
«Ogni mese migliaia di flaconi da mezzo litro. Abbiamo avuto un’auto produzione di soluzioni idroalcoliche grazie anche all’aiuto della Scuola di specializzazione di farmacia ospedaliera e dei laureandi: tutti a lavoro per produrre gel e imbottigliarlo. L’emergenza, tra l’altro, ci ha portato a gestire in maniera diversa gli approvvigionamenti. Con una rete regionale in cui ogni giorno si segnala la quantità di prodotti a disposizione di ogni farmacia ospedaliera. Chi va in rottura di stock viene aiutato dagli altri ospedali della regione».

Sul fronte dei medicinali cosa si usa più e cosa non viene più utilizzato dai medici nei reparti anti Covid-19?
«La prima ondata è stata caratterizzata dalla spinta alla sperimentazione clinica. Il virus era praticamente sconosciuto e questo ha stimolato i clinici a mettere in piedi protocolli di sperimentazione sotto il coordinamento dell’Aifa. All’inizio si è puntato sull’idrossiclorochina, un trattamento che oggi non si usa più. E si è virato, per esempio, sul remdesivir, un medicinale nato per combattere l’Ebola e che nella prima fase si somministrava solo per uso compassionevole a chi era intubato».

Quanto costa, per un ospedale, combattere il Covid-19?
«Dal semplice punto di vista della quantità del farmaco non tanto. Per curare altre malattie i farmaci costano molto di più, pensiamo agli antitumorali. Poi sono i numeri dei pazienti trattati che possono fare la differenza. Però, giusto per fare un esempio, un paziente in immunoterapia per un carcinoma al polmone può costare tra i 40-50 mila euro a ciclo. I medicinali usati per il Covid-19 costano molto, ma molto meno. Anche se può esserci un problema, visto il numero dei pazienti, di sostenibilità della diagnostica, dal tampone alle Tac. Più difficile, piuttosto, tamponare la mancanza di offerta per le altre patologie».

Direttore D’Arpino, ma è vero che avete dovuto lavorare forte con l’attività galenica?
«Nella prima ondata sì. Abbiamo trasformato i farmaci solidi in liquidi per i pazienti intubati, con interventi personalizzati. Per esempio l’antivirale che era solo in compresse l’abbiamo somministrato come sciroppo». 

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Ultimo aggiornamento: 12:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA