Coronavirus, la fotoreporter in fuga dal Cile al Brasile all'Italia: «Non è vero che il caldo ferma l'epidemia»

Domenica 3 Maggio 2020 di Lorenzo Pulcioni e Vanna Ugolini
Coronavirus, la fotoreporter in fuga dal Cile al Brasile all'Italia: «Non è vero che il caldo ferma l'epidemia»

In fuga dal coronavirus dal Sud America a Terni. L'incredibile avventura di Rita Diomedi tra le proteste di piazza a Santiago del Cile e il ricovero all'ospedale di Salvador, in Brasile, per un'infezione. Mentre la pandemia cominciava ad esplodere anche in Sud America le hanno rubato la borsa con passaporto, carte di credito e macchina fotografica.

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Le foto, per fortuna, le aveva già scaricate sul pc che era al sicuro nella camera d'albergo.
«Ero a Salvador, in Brasile, dal 15 gennaio e sapevo che in Cile c'erano delle sommosse. Sono arrivata il 20 febbraio a Santiago, dove tutte le sere a Piazza Italia c'erano i civili con volto coperto, scudi e bastoni a contestare le politiche del governo. Proteste che la polizia sedava con idranti e lacrimogeni. Sono stata più volte intimata di non fare le foto. Una radio cilena mi ha intervistato chiedendomi se fossi stata maltrattata. Si parlava di una rivolta imminente ai primi di marzo. Sarei dovuta tornare in Italia a metà aprile, ma poi è successo qualcosa».

Succede che mentre in Italia scoppia l'epidemia ed in Cile prosegue la protesta tra le serrate dei negozi e le scritte sui monumenti, il 27 febbraio le rubano tutto. «Mi trovavo in un negozio di scarpe. In una frazione di secondo mi hanno preso lo zaino con macchina fotografica, carta di credito, cellulare, passaporto e tutti i soldi. C'erano le telecamere di sorveglianza ma la polizia ha detto che non erano autorizzati a fare indagini. Per il passaporto dovevo rivolgermi all'ambasciata ma ci sarebbero voluti almeno venti giorni. Per fortuna il pc era rimasto in albergo e sono riuscita a mettermi in contatto con un amico di San Gemini. E' stato lui ad avvertire la Questura di Terni che ha autorizzato l'ambasciata a rilasciarmi il passaporto dopo solo due giorni».


Il 29 febbraio torna così in Brasile, ma il Coronavirus intanto è arrivato anche in Sud America: «Mascherine e disinfettanti era introvabili già in Cile, non c'era più niente in giro. Ma i primi casi li ho visti in Brasile. Il primo a San Paolo, poi a Rio, infine Salvador, la città dove mi trovavo. Ho cominciato a preoccuparmi, mio figlio mi diceva di restare perché in Italia c'era il caos. Dallo stress mi è venuta un'infezione e sono dovuta andare in ospedale».

Sono i giorni in cui Bolsonaro minimizza ma intanto gli ospedali si organizzano: «Nessun coprifuoco e nessun lockdown, ma negli ospedali arrivavano respiratori e materiale per l'emergenza. A marzo in Brasile è estate piena e ci sono trenta gradi. Non è vero che il caldo elimina il virus. Non ho mai avuto i sintomi del Covid-19 ma ho avuto paura, perché anche se ospedali e laboratori sono in ottime condizioni, non ho mai avuto qualcosa di simile».

Il primo volo per tornare è il 18 marzo. «Molte compagnie avevano già chiusi i voli. Ho fatto Salvador-Rio, poi San Paolo e infine Roma. In aeroporto avevo la mascherina ma nessuno mi ha misurato la temperatura o dato altre raccomandazioni».

Ultimo aggiornamento: 09:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA