La poesia cupa di Zoran Music in 50 opere

Lunedì 14 Dicembre 2015
La poesia cupa di Zoran Music in 50 opere
Accade molte volte che la storia dell'arte manifesti una particolare “crudeltà della memoria”, dimenticando presto, subito dopo la loro scomparsa, figure ritenute prima protagoniste. In particolare qui a Venezia penso soprattutto a Virgilio Guidi (Roma 1891 - Venezia 1984), una personalità centrale nella pittura italiana del Novecento, a cui era stato perfino dedicato un museo ancora in vita, ed oggi, ad oltre trent'anni dalla morte, completamente dimenticato. A parte Emilio Vedova (1919-2006), che ha saputo affidare il suo nome ad una Fondazione oggi ben funzionante, anche di Bruno Saetti (1902-1984), Giuseppe Santomaso (1907-1990) ed Armando Pizzinato (1910-2004), tutte figure di grande rilievo, pur se in diversi versanti espressivi, nella storia dell'arte a Venezia del XX secolo, pare si sia del tutto persa la conoscenza e la memoria della loro opera. Appare allora particolarmente significativa la mostra omaggio a Zoran Music (Gorizia 1909-Venezia 2005) che la Galleria Contini di Venezia, a dieci anni dalla sua scomparsa, ha voluto dedicare all'artista. Esponendo una cinquantina di opere che documentano oltre mezzo secolo di attività, e che consentono di ripercorrere quasi interamente, seppure per esempi, il complesso itinerario di ricerca espressiva dell'artista. Diciamo subito che mancano in mostra opere della drammatica serie “Non siamo gli ultimi”, affiorate inevitabilmente nella memoria dell'artista in due cicli, nel 1970 e nel 1987, ispirate alla tragica esperienza personale di Music nel campo di sterminio di Dachau. Ma in mostra assumono un particolare rilievo i poetici “Cavallini che passano” dei primi anni Cinquanta, formalmente ed ideativamente assonanti con lo splendido “Motivo dalmata” del 1951, un esempio di vera grande pittura evocativa, forse densa di struggente nostalgia della sua terra di origine. Come infatti è stato già più volte notato, Zoran Music appare un vero artista mitteleuropeo perché nella sua vita e nelle sue opere si avvertono influenze e motivi formali provenienti dalla Carinzia austriaca e dalla Stiria slovena. Ma, intervallate dall'affioramento della terribile esperienza di Dachau, anche quelle delle sue due città di elezione, dove ha passato molti anni, e cioè Venezia e Parigi. In una commistione immaginativa ed emotiva che porterà l'artista, negli anni della sua grande età, ad un'opera intensamente riflessiva che appare densa di ombre, perfino cupa. Come si vede bene in due straordinari dipinti in mostra quali l'intenso “Autoritratto” del 1989 e la pensosa e drammatica figura del “Filosofo” del 1990. Che sembrano voler chiudere un lungo percorso espressivo affidato alla pittura, qui declinata però nei toni essenziali dei bruni, cioè nei modi duramente rappresentativi della fine di un'avventura poetica ed esistenziale.
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