Renzo Arbore: «La tv è morta ma io mi diverto ancora»

Domenica 7 Giugno 2020 di Ilaria Ravarino
Renzo Arbore: «La tv è morta ma io mi diverto ancora»
Appartamento al piano di sotto e studio televisivo sopra, separati da una rampa di scale ma identici nel tono dell'arredamento, ultra pop e coloratissimo, tra neon, cimeli musicali, paillettes e strampalati souvenir. È in un ambiente familiare, quello della sua casa romana, che Renzo Arbore torna in tv con un appuntamento quotidiano, Striminzitic Show (sottotitolo: Non è Quelli della notte), da domani in prima serata su Rai2 e poi per venti puntate in seconda serata. Por dos besos di Bruno Martino come sigla, ospite fisso il musicista Gegè Telesforo, un filo rosso: filmati dal repertorio di Arbore, e perle speciali montate per l'occasione.



Cosa vedremo?
«Registrazioni di programmi miei e trasmissioni a cui ho partecipato, più i concerti nel mondo. Programmi che non ricorda nessuno. Tanti format. Ne ho inventati 18, con questo 19».

Qualche perla?
«Mostrerò artisti che ho scoperto ravanando nel web, come Stefano De Santis, grande doppiatore. La gente non se lo aspetta da un ottantenne, e invece sono un navigatore della rete».

La rete sta cambiando la tv?
«Le sta dando la mazzata finale. Con Netflix e le piattaforme la tv è diventata seriale. La fiction alla Montalbano e i grandi eventi generalisti, come Sanremo o le partite, le vengono ancora bene. Ma l'intrattenimento è morto».

Perché?
«Siamo arrivati al livello più basso. Gossip, risse e linguaggio disinvolto. Abbiamo una tv che vive di espedienti, fatta escusivamente in nome dell'auditel».

A lei non interessa?
«Io voglio dedicarmi a un pubblico selezionato. Se poi si aggiungono altri, meglio. Ma non mi posso castrare perché tutti capiscano per forza tutto».

La rete è l'alternativa alla tv?
«Dovrebbe. Però anche la rete non è quel pozzo di talenti che speravo. In pochi sono usciti dal web. I The Jackal, Il Terzo Segreto di Satira: alla fine l'unico che ce l'ha fatta è Frank Matano, che ha fatto il giudice a Italia's Got Talent».

Qual è il problema?
«Manca una nuova leva di comici. Con tutti i talent che produciamo, non siamo riusciti a tirar fuori nemmeno un umorista. Mancano gli improvvisatori. Abbiamo Fiorello, ma c'è solo lui. E non è un comico».

Zalone è un comico: le piace?
«È l'ultimo grande umorista dei nostri tempi, è bravissimo, ma si è subito dedicato al cinema. Volevamo fare qualcosa insieme, purtroppo lui non improvvisa: ha paura di buttarsi».

Donne umoriste?
«Oggi le donne hanno preso il timone dei programmi: Balivo, Isoardi, Daniele, ovviamente Mara Venier. Ma l'umorismo è un altro discorso, e con le donne è sempre stato complicato».

Almeno un nome?
«Paola Cortellesi.
Che debuttò con me, con Cacao Meravgliao».

 
 

Sanremo: le piacerebbe tornare?
«No grazie, sarei terrorizzato. L'ho già fatto, con Il Clarinetto ho rilanciato la canzone umoristica. Testimone raccolto poi da Elio, con quel capolavoro che fu La terra dei cachi».

La nuova musica italiana le piace?
«C'è più vita nella musica che nella tv: anche i trapper non mi dispiacciono. Certo, le canzoni di Achille Lauro le canta solo lui, mentre E se domani di Mina l'hanno cantata tutti».

Quarant'anni dal suo film Il Pap'occhio: perché ha lasciato il cinema?
«Mi diverte di più la tv. Ma quel film è diventato un cult. Martin Scorsese racconta a tutti di aver conosciuto Roberto Benigni sul set di un film strampalato, e pure Nanni Moretti è un fan: una volta si è congratulato con me perché ho scherzato sulla religione prima di lui. Secondo me sotto sotto Il Pap'occhiolo lo ha visto pure Paolo Sorrentino».

Col secondo film, FFSS, fece arrabbiare Fellini: è vero?
«Ci rimase male per via della scena in cui me lo immaginavo alla ricerca di un bagno per fare la pipì. Aveva un problema alla prostata e si sentì preso in giro Ma io non lo sapevo».

In quel film allude a una Napoli che non è Gomorra. In quale si riconosce?
«La Napoli di Gomorra non è la mia. Io da 28 anni porto in giro la Napoli signora. Quella delle canzoni, del sole, del sorriso. La Napoli di sempre: non quella delle stagioni».
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