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Trump, ecco perché Twitter lo ha cancellato: «Il gestore non voleva diventare complice»

Tecnologia > News
Domenica 10 Gennaio 2021 di Valentina Errante

«È stata una decisione dura ma inevitabile». Per Enzo Cheli, costituzionalista, ed ex presidente dell'Authority per le comunicazioni, la decisione di Twitter di bloccare l'account di Donald Trump, dopo l'assalto dei suo sostenitori al Campidoglio dello scorso 6 gennaio, non rappresenta la violazione di alcun diritto, dal momento che, proprio attraverso la piattaforma, l'ex presidente Usa si stava rendendo responsabile di alcuni reati.

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Il dibattito sulla facoltà di un soggetto privato di impedire la libera comunicazione si è acceso in queste ultime ore. Pensa che siano stati lesi dei diritti e che costituisca un pericoloso precedente?
«Inibire Trump dall'accesso alla piattaforma è certamente una misura molto forte, soprattutto se vista nella tradizione degli Stati Uniti che, con il primo emendamento, garantiscono piena libertà del pensiero e di parola a tutti, ma la decisione è ampiamente giustificata dall'atteggiamento eversivo assunto dallo stesso Trump dopo le elezioni. Un atteggiamento che si è aggravato, prima contestando il risultato elettorale, poi la decisione dei giudici che non hanno accolto i suoi ricorsi, infine incitando i seguaci alla violenza. Istigandoli, di fatto, all'eversione».


Qual è il limite?
«Se Twitter avesse seguitato a trasmettere i messaggi sarebbe diventato complice di un'azione lesiva della Costituzione, ma anche di reati eversivi, come l'occupazione di edificio pubblico e l'interruzione di una funzione costituzionale. Dunque una decisione dura ma inevitabile».


Questa vicenda ripropone un tema molto delicato: i social condizionano pesantemente l'opinione pubblica, dovrebbe esserci un controllo sui contenuti?
«Si è molto discusso, sin dalla nascita di internet, di questo problema, rispetto alla quale non è ancora stata trovata una soluzione, né al di qua né al di là dell'Atlantico. Chi risponde degli illeciti? Il tema riguarda il rapporto tra provider e il fornitore dei contenuti. La difficoltà della questione è che si devono applicare le leggi dello Stato di diritto e della democrazia pluralista del XX secolo al nuovo mondo digitale».


Molti oggi hanno manifestato forti preoccupazioni rispetto alla violazione di un diritto da parte di chi controlla i social.
«C'è un movimento negli Usa e in Europa che spinge a considerare del tutto neutrali i gestori: libero accesso a tutti e nessun controllo dei contenuti. Questa linea iniziale ha portato allo sviluppo della rete così come è oggi. Ma questa modalità ha determinato che i social e le piattaforme fossero anche un vettore per la diffusione di reati: dalla diffamazione, all'incitamento alla violenza, dalla pedopornografia alle truffe. A questo punto è nato il problema della neutralità e di porre dei vincoli al gestore. Un tema molto sentito che trova riscontro nelle nuove direttive europee. Si pensa di conferire al provider non tanto un potere di censura, quanto di ritenerlo responsabile dei contenuti: una volta che venga segnalata la presenza di reati o la lesione di diritti soggettivi, il cosiddetto notice and take. In Italia sono state prese alcune misure: il regolamento del Garante sanziona l'incitamento all'odio, poi c'è anche la legge sul cyberbullismo. Si va verso il superamento dell'irresponsabilità del gestore».


C'è il rischio che tutto questo sia soggetto all'arbitrarietà dello stesso gestore?
«Possono nascere contrasti sulle rimozioni e in questo caso deve intervenire l'autorità giudiziaria. La questione è ancora molto fluida anche per la differenza del diritto nei paesi europei».


Il nodo riguarda anche il fatto che la rete non conosce confini.
«Il potere di queste piattaforme è enorme. Per questo è chiaro che la linea di non esercitare controlli debba essere assolutamente superata. Dovrebbe esserci un trattato internazionale nella gestione della rete, anche con un rafforzamento dei poteri di controllo e intervento da parte delle polizie postali. E in questo quadro, la vicenda di Trump dà una forte spinta: è evidente che l'ex presidente ha istigato i suoi sostenitori a delinquere. C'era un'azione crescente che sviluppava da settimane e che si è conclusa con un invito all'eversione. Tutto questo attraverso Twitter».

Ultimo aggiornamento: 10:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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