La ricercatrice sub che si immerge tra i ghiacci dell'Antartide: «Qui scopro il futuro»

Sabato 3 Aprile 2021 di Franca Giansoldati
La ricercatrice sub che si immerge tra i ghiacci dell'Antartide: «Qui scopro il futuro»

Ci vuole davvero una notevole dose di coraggio per immergersi da sola nelle acque dell’Antartide, sotto i ghiacci eterni del continente più remoto, il più difficilmente accessibile, quello dal clima più estremo, avvolto nell’oscurità completa per sei mesi l’anno. Chiara Lombardi, pavese, biologa del Centro Ricerche Ambiente Marino dell’Enea a Lerici (La Spezia), ha guidato un team di scienziati al 74esimo parallelo Sud dove sorge la base di ricerca «Mario Zucchelli», portando a termine un progetto pilota in grado di monitorare il riscaldamento terrestre attraverso lo studio di piccoli animaletti invertebrati allevati nelle profondità del mare antartico. 

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Proprio dove Chiara, munita di mute speciali e apparecchiature sofisticate, si immergeva per testare quanto e come queste forme di vita si modificavano, raccogliendo così dati utili a misurare la velocità del climat change che ai poli corre a ritmi praticamente doppi rispetto al resto del pianeta.

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Lei è una delle pochissime scienziate che lavora in condizioni tanto estreme, una attività prevalentemente maschile...
«Effettivamente non siamo in tante a fare missioni sotto i ghiacci» (ride)


Come le è venuta l’idea di questa missione?
«Si è trattato di un progetto bellissimo che ho guidato per realizzare un laboratorio sott’acqua dove abbiamo trapiantato animali che vivono nell’habitat antartico.

Piccoli invertebrati collocati in dodici gabbie dove si potevano registrare dati in tempo reale. Questi animali avendo uno scheletro di carbonato di calcio danno informazioni precise dell’ambiente in cui vivono. In pratica attraverso il loro scheletro si possono ricostruire le situazioni dei poli. Sono come delle sentinelle capaci di avvertirci dei livelli di mutazione climatica. La cosa insostituibile è che queste specie già presenti sulla terra 450 milioni di anni fa le possiamo confrontare con i fossili, diventando così indicatori estesi e precisi dei cambiamenti. Possiamo dire che a questi organismi è legata la vita dell’uomo perché ci dicono dove andremo. La loro conservazione o la loro non conservazione ci indica cosa fare».


In che modo?
«Funzionano da cartine di tornasole. I parametri di rapporto se si discostano mostrano quanto abbia influito l’ambiente su di loro. Attraverso il loro scheletro possiamo ricostruire la temperature, l’ossigeno, il ph. Ora tutti questi dati li stiamo elaborando. Si tratta di studi lunghi che vengono effettuati con la collaborazione di altri laboratori. Peccato solo che il Covid abbia momentaneamente fermato tutto».

 
Che effetto fa scendere sott’acqua a quelle temperature?
«Difficile da descrivere. È comunque la parte centrale del mio lavoro, oltre che l’attività di laboratorio. Occorre una preparazione meticolosa, la temperature dell’acqua è tale che non consente nessuna improvvisazione e noi ricercatori lavoriamo assieme ai militari della Marina Militare. Con loro seguiamo protocolli rigidissimi. Le immersioni non durano più di mezz’ora e sono gestite dai militari che controllano dall’alto. Naturalmente si fanno con attrezzature speciali, tute stagne, riscaldatori altrimenti nell’acqua la sopravvivenza è di 2 minuti».

 
Come fa a conciliare la vita privata con queste missioni così estreme e prolungate?
«Al momento non sono sposata e non ho figli. La mia è una scelta ma amo talmente tanto quello che faccio che non posso dire sia una vita di sacrificio. Questa attività scientifica mi ha permesso di viaggiare per il mondo».

 
In un ambiente prevalentemente maschile, non ha mai avvertito discriminazioni?
«Personalmente non ho mai avuto problemi di questo genere. Forse sono stata fortunata. Spesso lavoro con squadre al maschile e anche il progetto in Antartide che ho diretto era tutto al maschile, con profili altissimi. Collaborazione massima e spirito di squadra le basi per sviluppare il lavoro. Ero io a dirigere e dire loro cosa dovevano fare, ma non mi hanno mai fatta sentire a disagio o in difficoltà. A questo aggiungo che non ho mai avvertito alcun atteggiamento spiacevole, ambiguo o imbarazzante. Forse perché erano tutti professionisti, scienziati, ricercatori di altissimo livello umano e professionale».


Il suo esempio è positivo ma per le donne non sempre tutto fila via liscio.
«Basandomi sulla mia esperienza posso dire che è più complicato lavorare con le donne che non con gli uomini. Se non avessi avuto un team al maschile in Antartide, in una missione tanto complessa, non so se avrei portato a casa questo progetto. La collaborazione è stata totale». 


Ha adottato uno stile di direzione particolare?
«Le donne sono molto brave nel costruire team building, nel fluidificare meccanismi di squadra, probabilmente tenendo sotto controllo la competitività che invece è più maschile. Prima di partire per l’Antartide abbiamo fatto un corso che si chiama Amalgama, per rafforzare il team. In pratica la tua vita dipende dagli altri. Quando mi immergevo io ero sotto ma i cavi che mi collegavano alla superficie erano nelle mani dei compagni di squadra. In un ambiente estremo ci sono sempre variabili, basta un nonnulla per rendere tutto rischioso». 


La terra è sull’orlo del collasso?
«I ghiacci si stanno sciogliendo. Le temperature effettivamente sono alte. Anche 4 gradi che per quelle latitudini è strano. Il ghiaccio nell’artico non c’è quasi più, i ghiacciai si stanno sciogliendo in Antartide».


Perché ci sono cosi poche donne nel mondo della ricerca?
«Per vari fattori. Spero però che in futuro possano aumentare. La loro integrazione con quella degli uomini porta comportamenti virtuosi e positivi».
 

Ultimo aggiornamento: 8 Maggio, 17:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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