Restituiteci il Twitter dei 140 caratteri e di Fiorello

Mercoledì 19 Ottobre 2022 di Matteo Grandi
Restituiteci il Twitter dei 140 caratteri e di Fiorello

C'era una volta Twitter.

O meglio c’era il Twitter di una volta… quello dei 140 caratteri in cui la sintesi era prerogativa assoluta.

Ma anche quello delle stelline che - in pochi ricorderanno - contraddistinguevano il social dell’uccellino prima dell’avvento degli inflazionatissimi cuori. Una scelta di marketing spersonalizzante (subentrata nel 2015 per correre dietro a social più in voga) che ha segnato l’inizio del decadimento di un ambiente che per alcuni anni era sembrato una sorta di Eden digitale. E di quello che fino a un certo punto era visto dalla sua cerchia di utenti il social più bello possibile. Qualche anno dopo, era il 2017, sono andati in soffitta anche i 140 caratteri, per lasciare spazio a tweet da 280 battute, esattamente il doppio. E ora si rincorrono voci che vorrebbero il social pronto a introdurre la funzione “notes” per twittare senza limiti di battute. Cioè la negazione della propria stessa natura. Come se in macelleria iniziassero a vendere prodotti vegani.

Ma non è solo una questione di forma: il social, invecchiando, sembra avere un’enorme voglia di omologarsi piuttosto che valorizzare la sua unicità. Una dozzina d’anni fa, quando in Italia era gli albori, la timeline era tutta frasi poetiche e freddure; non a caso c’erano i poeti del Twitter così come i battutisti del Twitter, due specie in via d’estinzione, alle quali sono subentrati i politici.  Il Twitter di allora era qualcosa di molto simile a un club allargato. Era il luogo in cui l’italiano medio aveva l’illusione di essere amico di Fiorello. Fiorello che, per inciso, di lì a poco Twitter l’avrebbe abbandonato perché non si trovava più a proprio agio con un ambiente che ingrandendosi si era anche arricchito di molestatori, attaccabrighe, fastidiosi troll e utenti maleducati. Insomma, gli pseudo-amici si erano trasformati in una banda di nemici col dito puntato. In fondo per gli iscritti della prima ora c’è un Twitter pre e dopo l’addio di Fiorello. E quello pre è un ricordo nostalgico che non tornerà più.

Era il Twitter di Insopportabile, al tempo incontrastato Re gentile del social, che con la sua saggia leggerezza e le sue suggestioni sulla Sardegna ha creato uno stile inconfondibile. Era il Twitter di Vendommerda, uno degli account satirici più geniali di sempre che si limitava, semplicemente, a retwittare il peggio (tweet sgrammaticati, pensieri sconnessi, posizioni estremiste). Ed essere retwittati da Vendommerda corrispondeva a una sorta di indelebile marchio d’infamia. Ma era anche il social in cui i primi sprovveduti politici che si affacciavano goffi a una forma di comunicazione a loro aliena firmavano con la parola “(staff)”, rigorosamente fra parantesi.

Eccezion fatta per Matteo Renzi, che, da giovane e ambizioso qual era, aveva prima studiato la comunicazione social di Obama e poi ne aveva fatto una forma di pionierismo in Italia. Il Renzi di allora rispetto all’uso di Twitter aveva capito benissimo due cose: la prima quella di potersi ritagliare un’identità social prima degli altri; la seconda era legata alle dinamiche del giornalismo e alle conseguenze meta-comunicative del suo twittare costantemente che veniva sistematicamente ripreso e amplificati da testate TV e quotidiani. Memorie di un Twitter che non c’è più. Oggi a essersi moltiplicati non sono più soltanto gli utenti, ma anche i politici; e i loro costanti cinguettii spesso sono soltanto un fastidioso rumore di fondo. Il dialogo è stato sostituito dalla propaganda, costante e insopportabile. E in questo caso, Insopportabile, l’account, c’entra davvero poco. A chiudere questo ideale cerchio nel 2021 arriva anche l’addio dell’ideatore di Twitter, Jack Dorsey, che decide di abbandonarne la guida. Ed eccoci all’oggi, fra freccette in altro e freccette in basso, stanze d’ascolto e amenità varie, nulla sembra in grado di restituire a Twitter lo smalto d’un tempo. Meno che mai l’infinito tira e molla per la vendita (con tanto di cause legali) con Elon Musk. E ora che l’eccentrico magnate torna a rendersi nuovamente disponibile all’acquisto del colosso di San Francisco a patto che venga ritirata la causa ai suoi danni, all’orizzonte si intravedono idee confuse e sempre meno identitarie, come quella, accarezzata da Musk, di dare vita a X, una famigerata super applicazione in cui la parte social sarebbe soltanto una porzione, affiancata da shopping online, pagamenti digitali, messaggistica digitale e compagnia navigando. Magari il futuro sarà questo, ma Twitter, concedetelo a noi nostalgici della prima ora, era un’altra cosa. Parafrasando Vecchioni, potremmo chiudere con una preghiera: Elon Musk mio, facciamo un cambio, prenditi pure quel po’ di tweet e quel po’ di visibilità, ma dacci indietro i 140 e quel Fiorello che tu sai. 

Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 07:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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