Davide Tabarelli: «Transizione energetica? Pazienza e tecnologia»

Mercoledì 18 Novembre 2020 di Davide Tabarelli*
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Intendiamoci, nella realtà non funziona come con Archimede di Topolino che con Eureka annuncia le sue scoperte, invece le nuove soluzioni arrivano lentamente, con miglioramenti di tecniche conosciute da anni. La transizione energetica, nell’immaginario collettivo, è qualcosa dietro l’angolo, che si realizzerà non appena faremo la prossima scoperta con qualche geniale trovata. È anche vero che gli obiettivi che ci siamo posti sono talmente ambiziosi, al limite del realistico, che solo qualche nuova rivoluzione tecnologica renderà possibile il loro raggiungimento. Le fonti rinnovabili, uno dei pilastri della transizione, al 2030, fra 10 anni, dovrebbero contare per il 32% dei consumi totali di energia dell’Italia, contro un livello che nel 2019, prima della pandemia, era del 18%, 5 punti in più del 2010. Il prossimo balzo di ben 14 punti si dovrebbe ottenere in gran parte con il fotovoltaico, quella bellissima tecnologia che trasforma i raggi del sole in elettricità, grazie ad una magia della fisica che Einstein, per primo, spiegò intorno al 1905, studio che gli valse il premio Nobel della fisica del 1922.

L’Italia è diventata leader mondiale per queste installazione, con una quota sulla produzione complessiva di elettricità dell’8%, uno dei valori più alti insieme a quello della Germania.

LO SCENARIO

Un primato di cui essere orgogliosi, motivato da diverse ragioni, con la principale riconducibile ai generosi incentivi che tuttora paghiamo in bolletta. Da quando, nel 2012, i sussidi sono stati tagliati ai nuovi impianti, la crescita ha frenato e il ritmo di espansione è di circa 400 megawatt all’anno, quando, invece, sarebbero necessari 3000 MW per passare dagli attuali 22000 a 52000 megawatt. Un megawatt equivale a 1000 chilowatt e i pannelli che si vedono sui tetti di casa sono di solito per una capacità di 3 chilowatt, per una superficie di 20 metri quadrati. L’obiettivo dei 52000 megawatt è nel documento fondamentale della transazione energetica, approvato quest’anno, il PNIEC, piano nazionale integrato energia e clima (https://www.mise.gov.it/index.php/it/2040668). Tutti, a parole, vogliamo la transizione, ma poi, quando c’è da costruire un impianto fotovoltaico di grande dimensione, ci sono sempre un comitato contro e le autorità locali che non danno i permessi. Da tempo quelli su terreni sono ostacolati, perché si sottrae spazio alla vocazione dei territori, che è sempre quella di un’agricoltura sostenibile, spesso biologica, ma che alla fine di reddito ne produce poco per i contadini che, invece, potrebbero ottenere qualche guadagno con i pannelli. Viste le difficoltà a fare grandi impianti, le speranze sono riposte nelle piccole unità delle abitazioni. Anche qui la crescita è troppo lenta, nonostante una straordinaria caduta dei costi di installazione, passati da 7 mila euro per chilowatt del 2010, agli attuali 1500 euro. Spariti gli incentivi, anche qui, mettere i pannelli sul tetto è diventato meno conveniente, ma qualche speranza si è riaccesa con il Superbonus 110% che dovrebbe aiutare con la riduzione delle tasse.

Qui si incontra uno degli sviluppi più interessanti delle nuove tecnologie, quello legato alle batterie, che servirebbero a stoccare l’energia elettrica dagli impianti fotovoltaici prodotta di giorno, quando c’è tanto sole, da consumarsi la sera, quando si torna a casa e si usa la lavatrice, si accende il climatizzatore e si ricaricano le batterie dell’auto elettrica, per chi se la può permettere, e per chi ha la villetta. Si tratta di un’idea tanto facile da spiegare quanto difficile da realizzare, come sempre accade per le rinnovabili. Tutti conosciamo le batterie, le pile nei telecomandi, che non si ricaricano, quelle dei telefonini, che si ricaricano, a volte quelle delle auto elettriche, che si ricaricano molto lentamente. È una tecnologia su cui la ricerca da secoli investe, il nostro Volta alla fine del ‘700 ne realizzò il primo prototipo, vicino a Como, dove, per questo, gli è stato dedicato un tempietto. Comprare una batteria da mettere sul terrazzo da 3 chilowattora, può costare oltre 8 mila euro e ogni chilowattora scaricato dalla batteria viene a costare 30-40 centesimi di euro, quando il chilowattora che arriva dai fili ce lo fanno pagare in bolletta meno di 20 centesimi. L’anno scorso il Nobel della chimica è stato assegnato proprio a chi ha permesso i miglioramenti più sensibili sulle batterie, quelle al litio, che oggi tutti usiamo nei telefonini, ma per il terrazzo, la strada è ancora lunga e tortuosa, come accade sempre con le grandi rivoluzioni.

* presidente di Nomisma Energia

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Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 20:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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