Zero: questo il mio livello di intimità con la tecnologia.
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E invece, come bene osserva il filosofo Umberto Galimberti, dovrebbe essere il contrario: dovremmo essere noi in grado di padroneggiare queste macchine che diventano padrone del nostro tempo e della nostra vita. E invece no. Per carità, la tecnologia serve. Pensiamo a quando sono stati inventati la lampadina elettrica, il motore a scoppio, la radio, la televisione, e a quanta evoluzione abbiano portato nelle nostre esistenze, anche a distanza di una sola generazione. Mio padre coltivava la terra con le sue mani, poi sono arrivati i trattori, le motozappe e tutto il resto… le guerre hanno solo questo di buono, che alla fine, alle volte, aprono un periodo di progresso, di prosperità, come accaduto in Italia nel secondo dopoguerra. Pensate all’aereo, e a quanta evoluzione ci ha regalato dai tempi di Icaro e di Leonardo da Vinci… E una telefonata in America? Un tempo era fantascienza, oggi con Internet roba da due minuti. Oggi diamo tutto per scontato, ma pensate a quanta strada l’umanità ha fatto grazie a queste invenzioni. Oggi abbiamo i robot, ed entro la fine di questo secolo anche noi diventeremo cyborg, ne sono certo. Insomma, la tecnologia è un male che diventa poi necessario, ma io non ho passione per essa. Apprezzo la sua utilità, mi divertono i miei figli e nipoti che smanettano a velocità supersonica, ma ci sono cose decisamente più belle, nella vita: una chiacchierata a tu per tu con un amico, per esempio, è un piacere impagabile. Invece oggi entriamo in gruppo al ristorante e dopo cinque minuti ognuno ha iniziato a “dialogare” esclusivamente con il suo telefonino, a ritrovarsi solo pur essendo in compagnia… Sono antico? Forse. Ma è una scelta che difendo con tutte le mie forze.