Non è il Fight Club di Palahniuk ma il Luddite Club è un movimento con una forza intrinseca potenzialmente superiore al circolo segreto di Tyler Durden.
E, soprattutto, è un movimento reale. Ma andiamo con ordine e facciamo un passo indietro. Esattamente al periodo della pandemia, quando la diciassettenne Logan Lane, studentessa di un liceo di Brooklyn, ha deciso che la sua dipendenza da social stava diventando malsana. Una vita scandita da Instagram e TikTok, da reel e like, da iper-connessioni digitali sempre più invasive e connessioni umane sempre più scarse.
LA SCELTA
Del resto, anche quella di Logan è una scelta reazionaria e contro-rivoluzionaria: una scelta ispirata da un rifiuto per l’intrusione sempre più pervasiva della tecnologia nelle nostre vite. Quello che sorprende, almeno a una prima osservazione, è che questa consapevolezza arrivi da un gruppo di adolescenti. E a sentirli, questi ragazzi, stanno vivendo il ritorno a una vita disconnessa come una vera e propria liberazione. Parlano di un recupero del contatto fisico, della creatività, dell’uso del cervello… Raccontano di uno spirito finalmente affrancato dalla schiavitù dei like.
E se oggi ci sono autorevoli sondaggi, come e quello del Pew Research Center, a spiegare che la maggioranza degli americani ritiene i social dannosi per la salute e per la democrazia, c’è da scommettere che il ludditismo sia soltanto agli albori. I media americani lo hanno già ribattezzato come “Movimento di liberazione degli smartphone”. Ed è lo specchio di un malessere che ciclicamente, seppur con sfumature diverse, torna ad affacciarsi nella vita dell’uomo contemporaneo. Insomma, negli ultimi tempi stava già andando abbastanza di moda la “digital detox” ovvero la moda, per taluni necessaria, di disintossicarsi dai social network. E sempre di recente i giovanissimi hanno preso a popolare “BeReal”, il social anti-social per eccellenza che all’artefazione antepone la genuinità. Ed eccolo il grande dubbio amletico della fase storica che stiamo attraversando: essere o non essere connessi?
LA PROSPETTIVA
Impensabile e sempre più difficile fare a meno dei social, eppure sempre più necessario staccarsene per non restare schiavi di una bolla immateriale che aliena progressivamente dalla realtà. E, così, mentre Meta progetta un futuro a base di metaverso che proietterà l’umanità in un mondo virtuale sempre più immersivo e connesso, c’è chi sta iniziando a capire che la realtà non può essere clonata, ma deve essere vissuta. Sono i temi su cui si giocheranno i dilemmi etici, politici e tecnologici del futuro prossimo.
Un futuro in cui forse l’umanità sarà divisa in due macroaree: chi, per necessità o scelta, vivrà una vita iper-connessa e chi, per scelta o contingenza forzata (socio-economica, geo-politica) vivrà una vita più legata al mondo materiale, quello che ancestralmente ci appartiene. E mentre i primi finiranno per comunicare attraverso messaggi generati da ChatGPT, i secondi potrebbero ritrovarsi sulle spalle la responsabilità dell’umanesimo che verrà.