La penna a sfera viaggia oltre il digital, Moleskine trasforma gli appunti scritti a mano in file

Mercoledì 16 Novembre 2022 di Francesco G. Gioffredi
La penna a sfera viaggia oltre il digital, Moleskine trasforma gli appunti scritti a mano in file

Esiste una regola orale e universale, pilastro in tutti i luoghi di lavoro: vietato appropriarsi della penna altrui.

Sempre che non si tratti di una Bic, la biro di tutti e per tutti. Tra gli emblemi del design minimo e quotidiano del XX secolo, la penna a sfera – quella a portata di taschino, col corpo trasparente – è l’essenziale, perché va all’essenza delle cose e perché farne a meno non è possibile.

Sprint e “democratica”, la biro ha reinventato l’esperienza della scrittura e incentivato l’alfabetizzazione. Intramontabile, resistendo anche agli “attacchi” del digitale, e ritagliandosi il ruolo di progenitore: Moleskine, il colosso dell’iconico taccuino, ha lanciato lo Smart writing system, che trasforma gli appunti manoscritti in file. Perché il piacere della scrittura su carta è un sottile e irrinunciabile brivido di libertà. Eppure, la penna a sfera è un’invenzione partorita quasi per disperazione e un po’ per caso.

Negli anni ‘30 László Bíró, giornalista ungherese, mal tollerava le stilografiche: troppe perdite di tempo e poco fluide. Che fare? Col fratello elaborò un inchiostro viscoso, uniforme e ad asciugatura rapida, combinandolo a un nuovo meccanismo: l’inchiostro del serbatoio scivola su carta “dosato” dal rotolamento di una micro-sfera metallica. La folgorazione venne dal gioco delle biglie: attraversando una pozzanghera, lasciano una traccia nitida e regolare. Il primo brevetto risale al 1938, tre anni più tardi i Bíró ripararono in Argentina, nel ‘43 depositarono un nuovo brevetto e la penna a sfera (la biro, appunto) fu commercializzata nel Paese sudamericano, senza però diventare un boom. Bíró cedette il brevetto a Marcel Bich, italo-francese e titolare di una piccola azienda di matite e stilografiche. Bich cercava un’idea per uno strumento di scrittura pratico ed economico, la trovò nella penna di Bíró e fu la svolta grazie a piccoli, ma decisivi, accorgimenti: via il corpo in ceramica e vetro, sostituito da uno chassis in leggera plastica trasparente che consente di vagliare il livello dell’inchiostro; sezione esagonale anti rotolamento; cappuccio colorato; produzione in serie e giù i costi. Era il 1950 e sul mercato francese fece irruzione la Bic (senza la “h” del cognome) Cristal: avrebbe invaso Europa e mondo, la penna da “più di 2 chilometri di scrittura”. Scarna e geniale, ripensata dall’azienda in tante varianti, imitata, citata, consumata, mordicchiata, persa e ritrovata, la Bic è nella collezione del Dipartimento architettura e design del MoMA di New York. Arte per tutti, senza sbavature.

Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 02:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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