Musk-Twitter, lo scontro che scopre l'infido bot

Mercoledì 20 Luglio 2022 di Matteo Grandi
Musk-Twitter, lo scontro che scopre l'infido bot

Prima gli annunci trionfali, le proposte, le idee per migliorare la piattaforma.

Poi i dubbi, le schermaglie e le incertezze che si allungavano come tentacoli sulla trattativa. Infine l’esito a sorpresa: Elon Musk non compra più Twitter.

Quell’acquisizione a cui mancava soltanto l’ufficialità (Musk si era formalmente impegnato all’acquisto per 44 milioni di dollari) si è rivelata una bolla di sapone evaporata fra le polemiche. Ma andiamo con ordine. Dopo un tira e molla che sembrava preludere a un semplice gioco delle parti si è arrivati alla clamorosa rottura, per la quale il magnate, tramite i suoi legali, ha dato la colpa a Twitter, rea di una non aver rispettato gli impegni presi. Quali? Secondo Musk, la piattaforma dell’uccellino non avrebbe fornito tutte le informazioni richieste relativamente al numero di account non autentici. «Twitter – precisa una nota degli avvocati dell’eccentrico businessman - non ha rispettato diverse disposizioni dell’accordo e sembra aver fornito informazioni false e fuorvianti sulle quali il signor Musk ha fatto affidamento per stipulare l’accordo di acquisizione». Twitter ha più volte ribadito che il numero di account falsi presenti sulla sua piattaforma è inferiore al 5% degli account complessivi ma questo non è servito a migliorare la situazione. E non è servito neppure aprire la propria dataroom in nome della trasparenza. L’acquisizione è saltata e ora Twitter avvierà un contenzioso con Musk. Su tutto aleggia il sospetto che il dietrofront di Musk sia in realtà un ripensamento di natura economica. Il tema sollevato però resta in tutta la sua cruda attualità sul tavolo.

Un dibattito quello sugli account falsi che può diventare anche l’occasione per fare finalmente chiarezza fra profili anonimi e profili falsi, i cosiddetti bot. I bot sono dei profili automatizzati creati ad hoc per veicolare messaggi non veritieri e spesso per inquinare le conversazioni in rete. Per l’utente comune, anche in virtù dei progressi dell’intelligenza artificiale, è spesso impossibile capire di trovarsi di fronte a profili non umani. A rendere il quadro più fosco c’è poi l’impatto che i bot hanno non soltanto sulla piattaforma ma sul dibattito pubblico in generale. Usati quasi sempre per diffondere fake news e per condizionare l’opinione pubblica. Bio realistiche e credibili e una capacità di interazione straordinariamente raffinata sono il cavallo di troia con il quale i bot entrano nel sistema e diventano difficilissimi da riconoscere, anche per programmatori e addetti ai lavori. Il tema, dicevamo, è delicato soprattutto per l’impatto che account programmati per diffondere messaggi falsi può avere sul fronte politico. Questo status quo si può davvero accettare? Come è possibile che non si stia ancora lavorando a normative e regole certe che facciano chiarezza sulla materia, limitando l’azione dei bot sui social? Come mai non esistono tool che permettano agli utenti di capire subito se dietro un determinato profilo c’è un essere umano oppure una macchina? Come mai le piattaforme invece che intervenire drasticamente tollerano tacitamente? Il punto, tornando al tema iniziale, non è limitare i profili alla cui vera identità non si riesca a risalire, ma quelli dietro ai quali si cela un algoritmo e non una persona. Insomma è fondamentale non travisare e non trasformare il contrasto (necessario) ai bot in una nuova guerra santa (inutile e pretestuosa) contro l’anonimato online. In primis perché si tratta di temi distinti, ma soprattutto perché le discussioni anonime sono tutelate per garantire un dibattito pubblico sano e compiuto (specie se chi si nasconde dietro all’anonimato rischia ritorsioni), mentre le discussioni che ruotano intorno a bot programmati per disinformare (spacciandosi oltretutto per persone reali) sono tossiche ed estremamente pericolose dal punto di vista della propaganda. Come afferma lo scrittore ed esperto di cyber-security americano, Bruce Schneier: «La democrazia ha bisogno di due cose: informazione e rappresentanza. Le personalità artificiali possono privare le persone di entrambe le cose». Nelle tasche di Musk non finiranno le azioni di Twitter, ma se non altro gli resterà il merito di aver accesso anche agli occhi dell’opinione pubblica i riflettori su una deriva non più tollerabile. E sulle quali è doveroso che il contrasto parta dalle piattaforme.  

Ultimo aggiornamento: 21 Luglio, 07:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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