Cambiamento climatico, artico bollente: ora si sciolgono anche strade e abitazioni

Mercoledì 19 Gennaio 2022 di Franca Giansoldati
Cambiamento climatico, artico bollente: ora si sciolgono anche strade e abitazioni

Quando, nel luglio di tre anni fa, Emile Ducke uno dei fotoreporter del New York Times arrivò a Srednekolymsk, un paese di 4mila anime in Yakutia, il posto più freddo del mondo, nel nord estremo della Siberia, dove le temperature d’inverno scendono mediamente sotto i 40 gradi Celsius, restò letteralmente a bocca aperta davanti allo spettacolo del permafrost che stava cedendo a causa delle temperature estive da record.

Una delle immagini divenute simbolo di un clima ormai fuori controllo resta quella del cimitero di Srednekolymsk.

Si presentava ridotto a un acquitrino, con le tombe in ammollo, le lapidi tutte storte perché il terreno perennemente ghiacciato e sotto lo zero, aveva ceduto al caldo. Così come avevano ceduto i tradizionali pali di legno, alti oltre tre metri, conficcati nella terra per essere utilizzati per legare i cavalli. Il mutamento climatico si vede persino dentro le case dei contadini che ai (pochi) turisti mostrano le cantine. Anche lì il permafrost a luglio gocciola per le temperature inedite, lasciando a terra pozze d’acqua e così mettendo a dura prova le fondamenta di legno delle abitazioni.

TEMPERATURE

E dunque, il fatto che ci sia chi sta tentando di “risvegliare” il mammut, contando su condizioni climatiche del tempo che lo vide dominare questa latitudine, non impedisce di avere timori sul futuro di questa porzione di mondo. A tre anni di distanza dalle prime immagini iconiche, è ancora un’altra fotografia a racchiudere il dramma di chi vive in queste lande estreme dove a giugno si sono toccati i 38 gradi secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO). «Le temperature annuali dell’aria negli ultimi 5 anni (2017-2021) nell’Artico sono state le più alte osservate nel periodo 1936-2021» ha confermato il Wmo, l’Organizzazione meteorologica mondiale. Un altro fotoreporter – Yuri Kozyrev – ha appena catturato (e pubblicato sull’Economist) il crollo di un edificio di cemento armato, collassato in Siberia perché i piloni sui quali si reggeva non avevano più lo strato attivo nel quale trovare sostegno. Il disfacimento del permafrost aveva spazzato via il terreno sottostante.

SCENARI

Il cambiamento climatico nelle zone artiche – dalla Siberia all’Alaska passando per il Canada fino alla Groenlandia – sta allarmando oltremisura la comunità internazionale non solo per la temuta fuoriuscita di ingenti quantità di C02 imprigionate nei ghiacci – circa il doppio della quantità che risiede attualmente nell’atmosfera – ma anche per la tenuta delle infrastrutture presenti. In un documento pubblicato su Nature Reviews Earth and Environment si indica che il solo riscaldamento dei primi tre metri di permafrost potrebbe provocare il rilascio di 624 milioni di tonnellate di carbonio all’anno entro il 2100, pari alle attuali emissioni del Canada o dell’Arabia Saudita. Diversi centri accademici stanno monitorando con difficoltà aree vastissime per disegnare i cambiamenti nello stato termico del permafrost e nello spessore del suo strato attivo. L’aumento della temperatura del permafrost dipende da vari fattori: il clima atmosferico, il tipo di vegetazione, la copertura nevosa, lo spessore dello strato organico. Nel permafrost più caldo (con temperature vicine allo zero Celsius) i tassi di riscaldamento sono stati sempre registrati inferiori a 0,3 gradi per decennio. Nel permafrost più freddo, invece, (con temperature inferiori a -2 gradi) il riscaldamento ha superato un grado ogni 10 anni. Uno studio monumentale della università di Oulu, in Finlandia, guidato dal professor Jan Hjort, ha riassunto in alcuni dati il dramma annunciato. Entro il 2060 potrebbero essere compromessi seriamente 120mila edifici pubblici e privati, case, scuole, ospedali, stazioni, fabbriche; circa 40mila chilometri di strade e ben 9.500 chilometri di gasdotti e condotte elettriche attualmente interrate nel permafrost. Il conto stimato per la manutenzione potrebbe superare i 35 miliardi di dollari. Una enormità.

RIMEDI

In questo quadro sembra essere soprattutto la Russia il Paese più minacciato visto che il 65% del suolo siberiano è costituito da permafrost con il 60% di tutti gli insediamenti umani della zona artica. In Alaska e in Canada, invece, la regione estrema è molto meno popolata e con meno insediamenti industriali, piste di atterraggio, oleodotti. Siccome non c’è da stare molto sereni, il monitoraggio dei ricercatori finlandesi abbraccia un’area davvero vasta se si pensa che praticamente un quarto delle terre dell’emisfero settentrionale è coperto da permafrost. La scienza si sta chiedendo anche come arginare i rischi e impedire a tante strutture di deteriorarsi. Finora sono state ipotizzate alcune possibili soluzioni per rinforzare il terreno e creare migliori fondamenta. Un modo è sostituire gli strati di permafrost con materiali più stabili. Un altro è scongelare il permafrost in modo controllato, per poi costruire sul terreno consolidato. In ogni caso si tratta di un’altra grana da affrontare alla prossima conferenza sul clima, la COP27, che si farà in Egitto alla fine di quest’anno.

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Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 22:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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