Buco nero, l'occhio del “mostro” miracolo della scienza che torna a sognare

Giovedì 11 Aprile 2019 di Massimo Capaccioli
Buco nero, l'occhio del “mostro” miracolo della scienza che torna a sognare
Da ormai 40 anni gli astronomi sospettavano l'esistenza di questo buco nero gigantesco.
Il sospetto era che la galassia ellittica supergigante catalogata come M87, dominatrice di un affollato gregge di nebulose che a noi appaiono raggruppate nella costellazione zodiacale della Vergine, ospitasse nel suo centro un buco nero gigantesco, con una massa pari a quella di 6,5 miliardi di Soli (o, se preferite, 2 milioni di miliardi di Terre), contenuta, ma non sappiamo bene come, entro una sfera di 20 miliardi di chilometri chiamata orizzonte degli eventi, 5 volte maggiore della distanza di Plutone dal Sole.

Un mostro la cui esistenza è rivelata da alcuni indizi legati alla sua devastante violenza ma che ritenevamo praticamente impossibile osservare direttamente (nonostante sia il miglior candidato tra quelli a nostra disposizione) per via dell'enorme distanza da noi, 65 milioni di anni luce, che lo rende non più grande di un chicco d'uva posto sulla superficie della Luna. Tra l'altro un chicco buio come la pece perché, come ormai si sa, nemmeno un singolo raggio di luce può sfuggire alla tenaglia gravitazionale della materia collassata in un buco nero. Solo quando questo Moloch affamato di stelle viene adeguatamente nutrito, tutt'attorno ad esso si sviluppa un anello di gas infuocato che, in linea di principio si pensava potesse essere visto da un occhio straordinariamente aguzzo (un po' come vedere un gradino al buio grazie a una striscia di nastro fluorescente).

Il guaio è che, per «vedere meglio», servono occhi molto grandi, come sosteneva anche il lupo di Cappuccetto Rosso. Nel caso dei buchi neri la richiesta diventa esorbitante rispetto a ciò che la tecnologia è in grado di offrire agli astronomi. Pupille ampie come un pianeta. Nulla da fare, dunque? Niente panico, perché quegli stessi capricci della radiazione elettromagnetica che ci costringono a costruire telescopi monstre per aguzzare la vista, ci consentono di utilizzare specchi incompleti, costituiti di elementi sparpagliati ovunque purché l'immagine raccolta da ciascuno di essi venga associata a un rigorosissimo campionamento temporale. Difficile? Un pochino, per i non addetti ai lavori.

Ci basterà allora sapere che una rete sinergica di radiotelescopi sparsi sul pianeta Terra e opportunamente sincronizzati (con quelli ottici non lo sappiamo ancora fare) può fornire immagini con una risoluzione 10-mila volte maggiore di quella del telescopio spaziale Hubble.
Ebbene, un siffatto strumento composito esiste davvero e non per nulla è stato battezzato Event Horizon Telescope (EHT), proprio perché concepito per snidare il piccolo buco nero che vive al centro della Via Lattea e quello mille volte più massiccio che spadroneggia nel cuore di M87, dando vita a fenomeni straordinari come un getto di materia quasi perfettamente diritto e lungo 5000 anni luce. Si tratta della evoluzione di una tecnologia sperimentata da decenni e nota con il nome criptico di Very Large Baseline Interferometry, una magica arte di cui anche gli italiani sono maestri. Nel caso di EHT, i singoli radiotelescopi vanno dalle parabole nelle Hawaii a quelle nell'Antartide, in Cile, in Arizona, in Messico, in Groenlandia, in Spagna e in Francia.


Il progetto impiega una squadra di 200 abili ricercatori e consiste nel fare osservazioni accuratissime nelle quali il sincronismo è vitale, seguite da una lunghissima fase di elaborazione per combinare i dati tenendo conto di tutte le sorgenti di rumore e di errore che possono degradare la risoluzione. L'obiettivo è di riuscire a sintonizzare la macchina in modo da vedere il chicco d'uva lontanissimo. Una sfida tecnologica ai limiti del credibile, di quelle che gli scienziati fanno davvero fatica a farsi finanziare in un mondo che ormai non sa più sognare e giudica tutto e tutti sul gretto metro dei ritorni certi ed immediati.

Per fortuna EHT ce l'ha fatta e ci ha regalato, in questi giorni, la prima immagine del buco nero di M87. Una ciambella di luce che conferma ciò che sospettavamo grazie ad alcune apparenze a sostegno di ipotesi teoriche e che apre davanti a noi veloci autostrade per arrivare a sapere quello che ancora non conosciamo. Ma è soprattutto un'altra testimonianza, dopo quella dell'altrettanto clamorosa scoperta delle onde gravitazionali, che la scienza non ha confini, se non quelli invalicabili decretati dalla natura e quegli altri, sormontabili ma disgustosamente viscosi, posti a chi ricerca dalla stupidità di coloro che continuano a preferire l'uovo oggi invece che investire per la gallina di domani. Ecco perché ancora una volta abbiamo dovuto apprendere una scoperta da una conferenza stampa: un annuncio bomba che ieri ha fatto il giro del mondo per barattare un'emozione con le risorse per continuare a cercare. Parigi val bene una messa o, più napoletanamente, che s'ha da fa' pe' campà!
 
Ultimo aggiornamento: 10:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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