Addio “Delilah” nel Sei Nazioni: la federazione del Galles, la nazione in cui il rugby e i canti dei cori sono religioni strettamente intrecciate in maniera senza eguali al mondo, ha cancellato la canzone-emblema di Tom Jones che da oltre 50 anni era diventata l’inno ufficioso dei Dragoni e dei loro fedeli.
Sarà così? In pochi ci credono e domani, per Galles-Irlanda, si annuncia una notevole sfida perché non si riescono a immaginare i 72.499 tifosi (il posto 72.500 è per il Principe di Galles) che sostengono i “rossi” senza quel ritornello struggente e trascinante. E’ vero, il testo racconta di un uomo geloso che ammazza a coltellate la compagna sorpresa a tradirlo (e infatti nella versione di Jimmy Fontana, “La nostra favola”, le parole vennero cambiate), ma lo stesso Tom Jones ha ricordato che quello che conta è la melodia che unisce i gallesi, uomini e donne, non solo durante le partite di rugby. Perché allora questa messa al bando? “Delilah” di fatto è la vittima sacrificale di una Union il cui ceo Steve Phillips s’è appena dimesso dopo che un’inchiesta della Bbc Wales ha rivelato pesanti comportamenti misogini, bullisti e discriminatori fra i suoi dipendenti.
Si è invece salvata negli stadi del rugby inglese l’amatissima versione pop dello spiritual “Swing low sweet chariots”, canto degli schiavi afroamericani: dopo forti polemiche anche i giocatori di colore della nazionale hanno detto che si può mantenere se si spiega il contesto storico che diede origine a quella canzone.
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