Rugby, Sei Nazioni, Italia cancellata dalla Francia all'Olimpico 10-50 Di Sperandio l'unica meta azzurra

Venerdì 5 Febbraio 2021 di Paolo Ricci Bitti
Rugby, Sei Nazioni, Italia cancellata dalla Francia all'Olimpico 10-50 Di Sperandio l'unica meta azzurra

L'Italia fa e disfa e concede già nel primo tempo due mete soffici su tre ai francesi che peraltro  non ne hanno troppo bisogno.

Così la Francia chiude in fretta la pratica Olimpico che ieri non era del tutto privo di fedeli per le norme anti Covid: in realtà, in alcune fasi degli 80 minuti del match c'erano direttamente in campo 15 spettatori (non paganti) perché altrimenti non si spiega l'ingiustificabile e terrificante 24% per cento di placcaggi (27 su 113)  sbagliati dagli azzurri che hanno aperto praterie ai francesi, alla fine assai poco sudati nonostante 182 placcaggi (solo 19 sbagliati, 89%) numeri che sottolineano ancora una volta il nostro fare e disfare. Se conosciamo il ct Smith, questa settimana di allenamenti al sacco (il pesante cilindro che simula l'avversario da placcare) sarà parecchio dura per gli azzurri nella "bolla" dell'Acqua Acetosa.

Se poi ci mettiamo, sempre nel primo tempo, anche una meta annullata a Ioane dal Tmo (in quelle decisioni 50 e 50 che difficilmente ci sorridono) non resta che leccarsi le ferite per un 10-50 finale assai pesante (7 mete a una) già intagliato nel 3-24 all'intervallo. Un punteggio all'intervallo che avrebbe potuto essere in realtà un 3-10 se Bigi e Varney-Trulla non avessero regalato due palloni ai bleus che si sono guadagnati da soli solo la prima meta di Cretin al 6', un minuto dopo che il debuttante azzurro Brex aveva tagliato in due la difesa approdando a pochi metri dal paradiso dopo una corsa che avrebbe fatto esplodere un boato nel pubblico che però non c'è in questo Olimpico-acquario senz'anima.

Sotto il cielo terso e il sole che scaldava i marmi del Foro italico, si stava male a vedere la Francia calpestare gli azzurri e a pensare alla festa che comunque sarebbe stata sulle tribune e nel villaggio del Terzo tempo con almeno 60mila tifosi ben mischiati. Il rugby senza pubblico non è rugby. Inutile girarci intorno, e non solo perché Roma perde 20 milioni di euro di indotto e un finesettimana di allegria per tutte le strade del centro. Il pronostico, al solito, era tutto contro l'Italia che per i bookmaker doveva concede almeno 20 punti ai bleus favoriti nella vittoria finale del Championship. E' andata pure peggio.

Si rimugina sul punteggio pesante già al the perché almeno sul fronte del gioco "palla in mano" l'Italia è stata mica male, salvo la necessità di compiere anche l'ultimo atto dell'azione, ovvero marcare punti. Comunque si sono viste fino a 18 fasi tutte ben orchestrate su un ricco spartito per guadagnare il penalty centrato da Garbisi al 18' quando sembrava in arrivo al più un temporale, non un diluvio. Già proprio Garbisi, ben affiatato con Varney e Lamaro, ha illuminato con fosforo e confidenza la manovra azzurra. Ha solo 20 anni ma una lieta impudenza che mette dubbi agli avversari e poi il ct Smith sfrutta giustamente il fatto che questi questi ventenni (e Varney li deve ancora compiere) giocano insieme da tre stagioni e si trovano a occhi chiusi. Varney ha toppato qualche passaggio, però che verve, che intraprendenza: ha piantato sul prato due francesi con fine magistrali e uno dei due era il diretto avversario Dupont, al momento il migliore mediano di mischia del mondo. Lamaro, per la prima volta con la maglia pesantissima numero 8 al timone della mischia, se l'è cavata assai bene contro i rinoceronti francesi e ha avuto anche buon piglio con l'arbitro inglese Carley. Allievo capitano promosso, insomma. Discreto anche l'altro imberbe ex under 20 Trulla che ha salvato un paio di mete. 

L'onesta e prevedibilissima sconfitta si è sgretolata in 6 minuti dal 50' quando gli azzurri imbambolati hanno subìto tre mete anche in prima fase (vuole dire elementari) che hanno messo gli ultimi chiodi sulla cassa della debacle. 

Nel dopo partita, lealmente, il capitano Luca Bigi si è assunto le responsabilità di errori suoi (compresa un'imperdonabile entrata laterale costata una meta) e altrui, mentre il ct Smith, impietrito al fischio finale, ha difeso il coraggio con cui gli azzurri, molti dal viso segnato dalla lotta, hanno portato a termine la partite. Un mattone molto piccolo e non certo angolare per la cattedrale che ha iniziato a costruire. 

Il tabellino

Roma, Stadio Olimpico - sabato 6 febbraio 2021
Guinness Sei Nazioni 2021, I giornata
Italia v Francia 10-50
Marcatori: p.t. 5' m. Cretin tr. Jalibert (0-7); 10' cp. Jalibert (0-10); 19' cp. Garbisi (3-10); 26' m. Fickou tr. Jalibert (3-17); 29' m. Vincent tr. Jalibert (3-24); s.t. 8' m. Dulin tr. Jalibert (3-31); 13' m. Dupont tr. Jalibert (3-38); 16' m. Thomas tr. Jalibert (3-45); 24' m. Sperandio tr. Garbisi (10-45); 33' m. Thomas (10-50)
Italia: Trulla; Sperandio, Zanon (4' st Canna), Brex, Ioane; Garbisi (35'-40' pt Canna), Varney; Lamaro, Meyer (11' st Mbanda'; 35' st Palazzani), Negri (19' st Ruzza); Sisi (19' st. Cannone, Lazzaroni; Riccioni (31' pt Zilocchi), Bigi (c, 19' st. Lucchesi), Rampelli (30' pt Fischetti).
All. Smith.
Francia: Dulin; Thomas, Vincent, Fickou (18'st Penaud), Villiere; Jalibert (18' st Carbonel), Dupont (18' st Serin); Alldritt (18' st Jelonch), Ollivon (c), Cretin; Willemse (18'st Taofifenua), Le Roux; Haouas (12' st Aldegheri), Marchand (9'st Bourgarit), Baille (12' st Gros)
All. Galthie'
Arb. Carley (RFU).
Calciatori: Jalibert (Francia) 7/7; Garbisi (Italia) 2/2; Carbonel
(Francia) 0/1.
Note: esordio in Nazionale per Brex (Azzurro 699) e Rimpelli (700).
Guinness GPlayer of the match: Dupont (Francia).

Arbitro: Matthew Carley (Inghilterra)
Tmo: Karl Dickson (Inghilterra)

Il calendario

Sei Nazioni, primo turno: Italia-Francia 10-50, alle 17.45 (MotorTrend, canale 59) Inghilterra-Scozia; 7 febbraio alle 16 (MotorTrend) Galles-Irlanda".

La vigilia: questione di fede

 

L’Italia nel Sei Nazioni? Ormai una questione di fede, soprattutto in questa prima edizione in “bolla” e al via da oggi tutta con gli stadi senza pubblico - appunto i fedeli del rugby - per colpa del Covid.


«Mi sento come un costruttore di cattedrali, so che non vedrò la fine del mio lavoro» ha detto il ct Pietro Franco Smith, sudafricano degli altopiani che nel suo profilo social ha scritto in quest’ordine: Cristiano, Al servizio della Famiglia (moglie e 4 figli, ndr) e Allenatore di Rugby. Il suo contratto con la federazione italiana dura solo quattro anni e non quattro secoli come indicato nella sua potente allegoria sul Basso Medio Evo, e il tecnico va lodato perché, a differenza di molti suoi predecessori,  non promette il paradiso della vittoria a una squadra e a un ambiente a bocca asciutta nel Torneo dal 2015 (a Roma dal 2013): ovvero record di 27 sconfitte di seguito, ovvero 12 vittorie e un pareggio in 105 partite dal 2000, quando ci invitarono a giocare con i Grandi che però incrociavano i pugni dal 1883.

Cherif Traoré (Foto Cfp)

Attenti che però quella di Smith, 48 anni, profondo conoscitore del rugby italico dal 1994, non è sfiducia, ma esattamente il contrario: è certezza che la sua squadra, mai così giovane (24 anni 3 mesi) e inesperta (131 caps in 23 giocatori), al debutto all’Olimpico contro l’imbattibile Francia (oggi alle 15.15, DMax), potrà di sicuro diventare protagonista nel Sei Nazioni con il tempo e con il rispetto della durissima etica del lavoro che ha imposto al gruppo. Senza sconti anche per le star come Minozzi che infatti si è chiamato fuori. «La porta resta aperta» dice comunque paterno Smith, a patto - aggiungiamo noi - che il giovane talento si adatti al corso che il “sergente di ferro” pretende anche per portare gli azzurri allo stesso livello fisico indispensabile per fronteggiare avversari sempre più imponenti e sempre più veloci.

Il ct Franco Smith (Foto Cfp)

Smith, insomma, cresciuto fra i discendenti dei coriacei calvinisti ugonotti che contesero il Sud Africa all’esercito dell' impero britannico e agli zulu, ci crede, valuta e tampona i limiti e i ritardi, pure culturali, del movimento ovale italiano e non fa mistero di professare anche in campo la sua fede nella ricompensa legata all’impegno e al rispetto reciproco: prima della partita, a volte, si raccoglie in preghiera sotto i pali (ed è capitato che fossero griffati Cattolica, assicurazione sponsor degli azzurri), un modo per ringraziare Dio di quello che il rugby gli ha dato. Un modo di fare già emerso durante gli anni cui ha giocato e allenato a Treviso vincendo scudetti.

E se qualche giocatore si vuole unire in questi momenti durante i ritiri è benvenuto, anche se poi le preghiere vanno in altre direzioni, ad esempio quelle della  Mecca: a Cherif Traoré, pilone, nato nella Guinea Equatoriale ma cresciuto a Reggio Emilia, si è aggiunto ora l’ala australiana-samoana Montanna Ioane, di fresca conversione all’Islam dopo un’adolescenza da tiepido cattolico, come ha raccontato a RugbyPass: nipote dell’asso wallaby Digby, Monty è diventato musulmano a Treviso dove gioca per la Benetton. L’altra ala azzurra della stessa Benetton, del resto, ugualmente con zio internazionale (l’ex capitano azzurro Guido Rossi) è il trevigiano Luca, di cognome Sperandio.

Monty Ioane (Foto Cfp)

E poi vanno ricordati almeno due momenti entrati nella storia quando si parla di fede e rugby ed entrambi riguardano il Sud Africa: appena vinta la coppa del mondo 1995 nella finale contro gli All Blacks davanti a Nelson Mandela, il capitano Francois Pienaar chiamò intorno a sè sul prato dell'Ellis Park tutti i compagni per mettersi in ginocchio e in cerchio e ringraziare Dio, come immortalato anche nel film Invictus. Pure in quel gruppo le preghiere decollarono in parecchie direzioni: c'erano, fra i neo campioni del mondo, cristiani della chiesa riformata sudafricana, cattolici, ebrei e animisti. Per quella volta tutti insieme sotto il tetto del rugby.

Altra immagine di grande suggestione quella di Brisbane ai Mondiali 2003: sudafricani e samoani, alla fine del match stravinto dagli Springboks, formarono un grande cerchio e in ginocchio ringraziarono il Signore per il privilegio di partecipare alla Coppa del Mondo in rappresentenza del loro Paese e in nome di tutti i giocatori che avrebbero voluto essere al loro posto. 

Deve insomma essere chiaro ai giocatori che essere in nazionale, vestire la maglia azzurra, comporta più oneri e responsabilità che allori e Smith, che spesso ritwitta il più noto e seguitissimo pastore cristiano evangelico americano, Joel Osteen, vuole sempre dedizione assoluta e coraggio. Uno stile di vita in campo e fuori e un'etica del lavoro che servono a rafforzare un gruppo di ventenni al quale quest'anno si chiede anche di compensare la mancanza della festa nel tempio dell’Olimpico, del Terzo Tempo felice al Foro italico e nelle vie della capitale che senza l’invasione dei fedeli perde un indotto di 20 milioni di euro a partita. Un’allegria allegata al match che dal 2015 rappresenta l’unico pane da spezzare insieme alla nazionale italiana nel Sei Nazioni. 

Paolo Ricci Bitti

 

Ultimo aggiornamento: 6 Febbraio, 18:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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