Olimpiadi e vaccini, la guerra (fredda) Usa-Cina sbarca nello sport. Il senatore Romney: «Boicottare i Giochi invernali di Pechino»

Venerdì 19 Marzo 2021 di Benedetto Saccà
Olimpiadi e vaccino, la guerra (fredda) Usa-Cina entra nel vivo. Il senatore Romney: «Boicottare i Giochi invernali di Pechino»

Risulta evidente perfino ai sassi di Villa Pamphili che il mondo abbia problemi mooolto più grossi da gestire. Eppure la guerra (a corrente continua, è lampante) tra gli Stati Uniti e la Cina riverbera anche nei piccoli, e derelitti, e apparentemente inutili arcipelaghi dello sport.

Del resto si sa perfettamente che Washington e Pechino ormai siano antagonisti diretti in un mare di universi – diremmo – geopolitici e ambiscano sul serio ad annientare il rivale nel larghissimo campo dell’egemonia del nostro pianeta.

E dunque. Volendo rimanere al garrulo cortiletto dello sport, bisogna annotare che da qualche settimana si può senz’altro apprezzare una notevole crescita dell’intensità del conflitto (verbale, certo, però, come si dice: la forma contiene la sostanza) tra le due potenze mondiali.

Come saprete bene, i Giochi della XXXII Olimpiade – per gli amici: Tokyo 2020 anzi 2021 – si terranno nella splendida cornice della regione di Kanto tra il 23 luglio e l’8 agosto. A meno di cataclismi e sorpresone dell’ultimo istante, è ovvio. Bene. All’inizio di marzo, non chiaramente per una mera casualità, la stampa americana ha squadernato sul tavolo dell’attualità un tema piuttosto affascinante. Ovvero. Come funzionerà con le vaccinazioni degli oltre 11 mila atleti? Saranno tutti già (come si dice adesso) immunizzati? E se non lo saranno, la disuguaglianza potrà compromettere la leggendaria equità della Olimpiadi? Non per puntiglio, giusto per rispetto della cronaca, occorre sottolineare che alcuni paesi hanno già scelto di vaccinare gli atleti in via prioritaria, mentre molti altri hanno evitato di aprire faglie di disparità nella popolazione.

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Poi, il coup de théâtre. Un classicone. Il presidente del Cio, il signor Thomas Bach, nel suo intervento alla 137esima sessione del Comitato olimpico internazionale, ha lasciato cadere con nonchalance una dichiarazione di portata megagalattica: «Acquisteremo dalla Cina i vaccini per gli atleti che parteciperanno alle Olimpiadi di Tokyo e Pechino». Una bomba termonucleare. Aperta la parentesi. A Pechino, dal 4 al 20 febbraio del 2022 per l’esattezza, si celebreranno i XXIV Giochi olimpici invernali. Chiusa la parentesi.

Insomma. Per accreditarsi presso gli stati occidentali e restituire un’immagine positiva, la Cina ha deciso di recapitare il vaccino contro il Covid nella terra delle Olimpiadi. D’altronde i Giochi sono una vetrina universale, aperta a tutti i paesi del mondo e quindi capace di offrire un ritorno di pubblicità e consensi senza eguali. Soft power, lo chiamano oggi i politologi.

Non è inutile, a questo punto, ricordare che al momento i vaccini cinesi Sinopharm e Sinovac siano utilizzati, tra gli altri, da Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Hong Kong, Indonesia, Messico, Filippine, Turchia, Ucraina, Uruguay, Argentina, Egitto, Perù, Venezuela e Serbia. Una mossa (geo)politica, oltre che di natura sanitaria, certo. Perché la diplomazia dei vaccini è la vera battaglia del VentiVentuno (e pure del VentiVentidue), che promette e assicura alleanze e legami economici.

E gli Stati Uniti? Be’, gli Stati Uniti non potevano chiaramente permettersi che la situazione sfuggisse loro di mano, benché impegnati (o distratti, chi lo sa) dallo scontro con la Russia. E così. E così, giusto qualche giorno fa, sull’edizione americana del New York Times è apparso un editoriale firmato niente meno che dal senatore Mitt Romney, proprio il candidato repubblicano sconfitto da Obama alle presidenziali del 2012 e, tra l’altro, il capo del comitato organizzatore dei Giochi invernali di Salt Lake City del 2002. 

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L’articolo era (sobriamente...) titolato «Il modo giusto per boicottare le Olimpiadi di Pechino» e, nello srotolarsi di 80 righe, dondolava tra frasi tipo «la Cina merita la nostra condanna» e accusava Pechino di ogni malvagità, specie nei confronti delle minoranze locali. Per di più proponeva un «boicottaggio economico e diplomatico delle Olimpiadi» invernali. Come? Spiegava Romney: «Gli spettatori americani, oltre alle famiglie dei nostri atleti e allenatori, dovrebbero restare a casa, non contribuendo alle enormi entrate che il Partito comunista cinese raccoglierà da hotel, pasti e biglietti». E poi. «Piuttosto che inviare a Pechino la tradizionale delegazione di diplomatici e funzionari della Casa Bianca, il presidente dovrebbe invitare dissidenti cinesi, leader religiosi e minoranze etniche a rappresentarci». 

Si può dedurre che si tratti di una grande provocazione. Bisogna sapere però che l’America adora donare delusioni sul tema. Se mai la guerra fredda deflagrata sul campo sportivo certifica, una volta di più, la convinzione che gli Usa e la Cina non siano nati per piacersi: e l’ipotesi appare concreta e solare, adesso, dopo i mari di incertezza che la domanda ha dovuto attraversare per incontrare una risposta. Ed è facile ipotizzare, già ora, che pure i Giochi di Tokyo e di Pechino, come tanti nei decenni passati, rotoleranno dentro l’indimenticabile.

 

Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 11:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA