Bebe Vio, l'allenatore Giuseppe Cerqua: «Solo lei poteva fare questa follia»

Domenica 29 Agosto 2021 di G.R.
Bebe Vio, l'allenatore Giuseppe Cerqua: «Solo lei poteva fare questa follia»

Giuseppe Cerqua è stato per Bebe Vio quello che per Frodo Baggins è stato Samvise Gamgee: amico fidato, difensore e àncora di salvezza quando le cose volgevano al peggio. Il preparatore atletico delle Fiamme Oro (un ex rugbista che tutto assomiglia tranne che all'hobbit descritto da Tolkien) è profondamente commosso mentre parla della bi-campionessa olimpica.

Per un atleta quale è il normale tempo di recupero per un guaio del genere?
«Innanzitutto è difficile anche solo recuperare la funzionalità del braccio, figuriamoci partecipare alle Paralimpiadi. Un'infezione interna è probante per tutto il corpo: Bebe era spossata, aveva un gomito grosso quanto la testa di una mazza da golf. Pensare di andare ai Giochi, a poco più di quattro mesi dal ricovero, era un'utopia».
Bebe come ha reagito a questo calvario?
«All'inizio non era molto fiduciosa: veniva da mesi e mesi in cui il gomito non era mai guarito del tutto e ogni volta che si allenava le dava fastidio, poi il ricovero e l'infezione l'hanno buttata giù. Era d'umore nero, vista anche l'ansia per le Paralimpiadi che si avvicinavano. Ma giorno dopo giorno il braccio stava sempre meglio, e anche lei».
E avete gettato le basi per l'impresa.
«Mano a mano che recuperava, ci siamo messi a stabilire a tavolino quale percorso fare per arrivare alle Paralimpiadi. La avvertii subito: se ce la facciamo bene, altrimenti non metto a rischio la tua salute».
La malattia patita in passato ha dato a Bebe una resistenza maggiore della gente comune?
«Lei ha una soglia del dolore molto alta, essendo quadri-amputata convive perennemente con piaghe di ogni tipo che la gente normale nemmeno s'immagina. E visto che se rimane ferma muscoli e articolazioni vanno in sofferenza, è condannata a fare sport per tutta la vita. Perciò la costringo' ad allenarsi sempre».
 

 

Quali sono stati i momenti peggiori dei mesi scorsi?
«Di sicuro il ricovero: a causa della pandemia le visite erano chiuse, e lei ha passato 21 giorni in stanza solo con la madre. Teresa, come Ruggero (il papà, ndr) è una grandissima persona, ma per una dalla vita attiva come Bebe è stata durissima stare tre settimane lontana dagli amici e dal resto della famiglia».
Cosa apprezza di più del suo carattere?
«È sempre allegra, anche di fronte alle difficoltà: prima della finale ero teso e ho pianto tanto, invece lei scherzava mentre le mettevo le protesi. Se prima era determinata, ora è matura. Molti potrebbero credere che vista la fama è montata; invece è una persona umile e sincera, che ti dice qualsiasi cosa in faccia».
Cosa ha pensato quando l'ha vista piangere sulla pedana?
«Finalmente piangi anche tu!. Altre persone si sarebbero disperate nella situazione vissuta da Bebe, mentre a lei è scesa giusto qualche lacrimuccia, nei momenti in cui il magone era più intenso. Il suo pianto è lo sfogo più giusto».
Bebe ha detto che quest'oro è anche suo.
«Me lo ha detto mentre ci abbracciavamo e piangevamo.

Ma non è così: io le ho solo indicato la strada da percorrere, il cammino lo ha fatto lei. Quello che Bebe ha messo per vincere questa medaglia non l'ho mai visto in nessun'altra disciplina e in nessun altro sportivo. Vederla in azione tutti i giorni è impressionante».

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Ultimo aggiornamento: 30 Agosto, 11:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA