Trentalange e la nuova Aia: «Con le donne dobbiamo recuperare. Arbitri-calciatori per far crescere i ragazzi»

Mercoledì 17 Febbraio 2021 di Roberto Avantaggiato
Trentalange e la nuova Aia: «Con le donne dobbiamo recuperare. Arbitri-calciatori per far crescere i ragazzi»

Innovare, condividere, progettare, comunicare e trasparire. Cinque verbi che per Alfredo Trentalange non sono semplici slogan, ma parole che contengono la volontà di cambiare l’Aia, della quale è diventato il nuovo timoniere domenica scorsa.
Presidente, si è preso un impegno non da poco...
«Lo so che corro dei rischi, ma sono disposto a farlo. D’altronde, gli ultimi periodi erano stati difficili e c’era bisogno di cambiare e ritrovare l’entusiasmo».
E come si fa a riunire un’associazione che era spaccata?
«Con intelligenza e la forza delle idee, coinvolgendo i presidenti delle sezioni per risolvere i problemi tutti insieme, dando ognuno il proprio contributo, piccolo o grande che sia».
La democrazia al posto dell’autoritarismo?
«Direi più passare da gioco a uomo a gioco a zona». 
Questa è la condivisione. Qual è invece la progettualità?
«Portare sul tavolo della Figc e delle leghe il doppio tesseramento».
Ci spiega meglio...
«Guardi ai giovani di 14-15 anni non è facile chiedere di scegliere tra giocare a calcio e arbitrare una partita di calcio. E allora, diamo loro la possibilità di fare due percorsi paralleli, che li portino a fare la scelta a 17-18 anni. Sono due strade che aiuterebbe anche la crescita culturale degli stessi calciatori, che magari si ritroverebbero ad essere arbitrati da un loro coetaneo che gioca a calcio conoscendone le dinamiche».
Un modo per ridurre la distanza tra arbitri e calciatori, due poli che spesso si respingono...
«Esatto, due poli che potrebbero e dovrebbero avvicinarsi per conoscersi meglio. Quello che non si conosce spesso spaventa e noi non dobbiamo spaventare».
Comunicare, il terzo verbo del suo programma.
«Che si lega alla progettualità e ai giovani. Ai quali dobbiamo rivolgerci per recuperare la vocazione. Per farlo dobbiamo capirli e per farci indicare la via dovremo scendere sul loro terreno, quello del comunicare».
Comunicare vorrà dire anche parlare con la stampa dopo le partite?
«Perché no. Rispettando il lavoro del giudice sportivo, che è primario, spiegare alcune decisioni aiuterebbe anche ad apprendere meglio il regolamento».
La trasparenza è stato un dente dolente per l’associazione.
«Per questo vogliamo rendere chiare le valutazioni, le relazioni, i contratti e i bilanci. È l’unico modo per non finire sui giornali o nei tribunali».
Riferimenti al passato?
«No, guardi a Marcello Nicchi bisogna essere grati per quello che ha fatto per l’Aia».
Ma i complimenti del suo predecessore sono arrivati?
«Dopo la mia elezione, passandomi davanti mi ha augurato buon lavoro. Lo reputo un gesto importante».
Tra i suoi verbi possiamo mettere anche “recuperare”?
«Se si riferisce al movimento femminile, dico assolutamente sì. Dobbiamo recuperare terreno in questo settore rispetto agli altri paesi europei. Avere donne arbitro in serie A non dev’essere un’eccezione, ma una normalità perché hanno una marcia rispetto a tanti uomini».
Anche con la Var Room di Coverciano bisogna recuperare terreno.
«È vero, ma la pandemia ha rallentato tutto. In Italia siamo molto bravi ad affrontare l’emergenza e meno la programmazione e dunque bisogna migliorare. Che però il Var sia necessario anche in serie B è innegabile».
Orsato unico arbitro italiano in categoria elite. Rispetto a quando arbitrava lei e poi Tagliavento, Rizzoli e Rocchi è un bel passo indietro.
«Anche qui, rispetto ad altri paesi europei paghiamo un percorso di crescita che da noi è molto più lungo. È vero che arbitrare in tutte le categorie fornisce un grosso bagaglio di esperienza, ma altri arbitri europei arrivano nelle rispettive serie A più in fretta».
Essere presidente dell’Aia significherà, ancora una volta, sacrificare la famiglia.
«Esatto.

Mia moglie però sa bene cosa vuol dire. Siamo insieme dall’età di 16 anni e io allora già arbitravo. Alle mie assenze il sabato e la domenica è dunque abituata. Certo, negli ultimi anni, avendo un mandato annuale nel Settore Tecnico, le dicevo sempre: tranquilla, a fine stagione smetto. Ora, invece, dovrò dirle che le stagioni di attesa saranno tre. Ma sono certo che mi capirà, perché sa che l’Aia è l’altro mio amore».


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