​Totti, il padre stroncato dal virus: «Addio allo Sceriffo». ​A Francesco diceva: «È più forte tuo fratello»

Lunedì 12 Ottobre 2020 di Ugo Trani
Totti, il padre stroncato dal virus: «Addio allo Sceriffo»

Lo Sceriffo, il papà del Capitano, non c’è più. Enzo, il padre di Francesco Totti, si è arreso, ieri nel primo pomeriggio, al Coronavirus. A incidere sul suo destino, all’età di 76 anni (festeggiati il 3 maggio), altre patologie che lo hanno reso più vulnerabile quando a colpirlo è stato anche il Covid-19: il diabete, la pressione e anche il cuore che lo mise in allarme qualche anno fa. I primi sintomi all’inizio della scorsa settimana, da martedì sempre più evidenti. Giovedì il ricovero allo Spallanzani. E nel weekend si è aggravato, senza dunque riuscire a superare la crisi.

C’è chi non ha mai saputo che si chiamasse Enzo. Lo Sceriffo e basta. A Trigoria e fuori. Qui e all’estero. Perché lui, anche se ha sempre provato a evitare l’aereo (lo prese per Praga, non volendosi perdere la finale del mondiale 2006 a Berlino), ha seguito il figlio in ogni stadio d’Italia e d’Europa. In macchina o, quando il gruppo si allargava, affittando il più comodo dei van. Che prese per andare a Messina, partendo 3 giorni prima della partita della Roma e rientrando nella Capitale 3 giorni dopo. Percorso culinario, andando a scoprire ristoranti e osterie delle regioni che attraversava. Con la battuta pronta e divertente, lasciata in dote proprio al Capitano. «Sei tu il papà di Totti» gli hanno spesso chiesto nel ritiro di Brunico. «No è lui», indicando chi era al suo fianco, preparato a rivivere con lui «Amici miei» di Monicelli. Risate e scherzi ad accompagnare ogni giornata. Nel privato e in famiglia. Non in pubblico, dove non si è mai preso la scena. Timido e schivo. Lasciò il posto in banca prima dello scudetto del 2001 perché gli pesava in ufficio il ruolo di padre di Totti. I colleghi, almeno una volta al mese, li riuniva a pranzo per prendersi un po’ in giro. E, con il cuore grande così, per aiutarli se si fossero trovati in difficoltà. Fa un certo effetto che si sia chiamato fuori insieme con Francesco. È come se avessero smesso insieme. Lo Sceriffo non è più andato all’Olimpico dal 28 maggio 2018, dove si è sempre presentato al fianco di mamma Fiorella e del primogenito Riccardo. Ha detto basta il pomeriggio dell’addio al calcio del numero 10, partita casalinga contro il Genoa, con Pallotta e Spalletti fischiatissimi dai settantamila tifosi. Ha chiuso pure lui e di sicuro sofferto, avendo regalato il primo pallone a quel biondino. Prestissimo, appena cominciò a camminare. E soprattutto è stato lui a iniettare la passione per i colori giallorossi al Capitano che se li è tenuti stretti a vita. «Tu sei ‘na pippa, quello forte è tuo fratello». Lo ha detto sul serio, altro che leggenda. «Tutto quello che mi hai insegnato, lo sto trasmettendo ai miei figli, ai tuoi nipoti. Grazie per tutto papà mio, anzi sceriffo» il post su Instagram del Capitano lo scorso 19 marzo. Presenza forte, come quella sera ad Ancona, 31 marzo del ‘99, quando portò via il figlio, arrabbiato perché sostituito da Zoff nell’intervallo di Italia-Bielorussia. Di corsa a Roma, senza salutare il ct.

Vito Scala, fedelissimo preparatore personale di Francesco, lo inquadrò bene e presentò lo Sceriffo in famiglia. Bonaccione, però. Basta la camminata di Enzo per capire: gambe arcuate, ma senza cinturone e pistola, avvicinandosi alla spiaggia in una delle giornate passate ai cancelli di Ostia. E, al momento di accomodarsi, eccolo inforcare la sedia al contrario, con il poggia schiena sul petto, in stile tanto trasteverino. In più il legame con poliziotti e vigili urbani, amici conosciuti per strada a San Giovanni, in via Vetulonia, e scortati in sella al suo maxi scooter. Rapporti veri, prima ancora di trasferirsi nella villa all’Axa. A Trigoria è stato ospite quotidiano. Appuntamento fisso ogni mattina, in particolare quando Spalletti cominciò la sua prima avventura in giallorosso, ormai 15 anni fa: pizza bianca e mortadella. «Sceriffo, la porti solo se vinciamo, però». E partì la raffica degli 11 successi consecutivi. Abbuffata in campo e fuori. A volontà per dipendenti, dirigenti, allenatori e giocatori. Qualche volta anche il prosciutto. O le coppiette. E per i fissati con il pesce, bastava ordinare e lui, generoso ad oltranza, si presentava il giorno dopo, scortato pure dal pescivendolo di fiducia. E, come se non bastasse, fu lui a far scoprire la porchetta all’asturiano Luis Enrique.
 

Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 08:40
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