Superlega, Gandini: «Non è una mossa azzardata, hanno premuto il grilletto e sono già pronti per partire»

Martedì 20 Aprile 2021 di Ugo Trani
Gandini

Incombe la Superlega. Allarme in Italia, in Europa e un po’ in tutto il pianeta, perché la Fifa si è già schierata al fianco dell’Uefa che ha dichiarato guerra ai Top Club. Parola, dunque, all’esperto. Che poi sarebbe il milanese Umberto Gandini, 61 anni appena compiuti, attualmente ad della Lega basket. Ma la sua carriera è proprio legata alle superpotenze del calcio, ai vertici internazionali per far lievitare i ricavi e migliorare i format. A portare idee per potenziare questo sport che è stato appena travolto dal nuovo tsnunami. Laureato in giurisprudenza e giornalista non solo per hobby, è stato nel Milan di Bwerlusconi per 23 anni, nella Roma di Pallotta per 2 e ha partecipato alla fondazione dell’Eca, restando per 8 anni vicepresidente, l’associazione all’epoca guidata da Rummenigge e appena lasciata da Agnelli che eredito il posto del tedesco ormai 4 anni fa.

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Gandini, quale motivo ha spinto le grandi società di Europa a mettersi in proprio?
«Se vogliamo essere diretti e veloci penso che abbiamo puntato alla migliore gestione dei ricavi.

A tirare fuori il massimo dalla loro organizzazione».

A sentirla parlare, sembra sorpreso.
«Non me l’aspettavo. Il tentativo è stato fatto già 30 anni fa, ma mai siamo arrivati a tanto. Lo dico avendo partecipato a più di una riunione. L’obiettivo era mettere pressione all’Uefa per acquisire più potere e aumentare i ricavi. Restando, però, dentro».

All’improvviso che cosa è successo?
«Si vede che hanno deciso di premere il grilletto: a quanto pare non gli bastava più quanto garantiva loro l’Uefa. Ma non è stata affatto una mossa azzardata. Il piano è ben studiato. Non sarebbero usciti allo scoperto in quel modo. Vuol dire che sono pronti: avranno già gli arbitri, la giustizia sportiva, i diritti tv e tutta l’organizzazione commerciale per andare subito sul mercato».

Come mai è cambiata la posizione delle società che contano di più in Europa?
«Sono gli stessi club che già provarono a cambiare le competizioni, ma diversi i proprietari. I nuovi hanno deciso fosse il momento dello strappo epocale con Ceferin. Adesso è difficile sapere dove porterà: avranno pareri legali che li fanno sentire al sicuro. Difficile il passo indietro. Vediamo. Noi ci andammo vicinissimi con Media Partners, ma a prevalere fu l’istinto di conservazione».

Quale sarà la questione più delicata?
«I diritti tv del prossimo trienno della Champions. Sono stati acquistati da quasi tutti i broadcaster che però fino al 2024 contavano sulla presenza dei dodici club della Superlega. Adesso bisogna vedere che cosa accadrà con i contratti».

Poi?
«Oltre alla Champions, c’è lo squilibrio a livello domestico, rischio che nessuno ha mai voluto correre in passato. Ora se la Superlega decide di non prendere in considerazione alcune società dei vari tornei in Europa, i dodici club potrebbero essere esclusi dai rispettivi campionati nazionali. È, insomma, immaginabile che le grandi non partecipino più perché indesiderate».

È credibile che la pandemia abbia dato la spinta decisiva?
«Di sicuro ha accelerato la scissione: è stato detto che i club abbiano perso 1 miliardo e 200 milioni. Cifre che quei club si possono però permettere. Hanno pesato anche le porte chiuse e non dal punto di vista economico: far partire l’iniziativa con gli stadi vuoti ha evitato contestazioni. Ma lo strappo è stato voluto a prescindere».

In Italia i tifosi protestano meno che all’estero?
«In Inghilterra le associazioni sono radicate e i proprietari sono i custodi dell’eredità del club che appartene al popolo. In spagna addirittura i tifosi sono soci della società, coinvolti anche nelle decisioni più significative».

 

Ultimo aggiornamento: 19:33
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