Paolo Rossi, quel 5 luglio 1982 quando l'attaccante azzurro fece piangere il Brasile

Giovedì 10 Dicembre 2020 di Piero Mei
Paolo Rossi, l'uomo che fece piangere il Brasile

«Ho fatto piangere il Brasile» recita il titolo del libro autobiografico. Ora l’Italia tutta piange lui, Paolo Rossi che è scomparso nella notte a 64 anni, vinto da un tumore contro cui combatteva da tempo. E’ scomparso anche Paolo Rossi in questo 2020 che pare non finire mai e mai smettere di inondarci di tristezza, ma rimane “Pablito”. Lo chiamarono, lo chiamammo così. Era l’anno dei mondiali, quelli dell’82, per parafrasare Antonello Venditti. Era “el hombre del partido”, come uscì illuminato dai led sul tabellone del piccolo Estadi de Sarrià, in cima alla Avinguda Diagonal, dalle parti dove ora è il Camp Nou e il Sarrià non c’è più.

Era il 5 luglio. Era il Brasile di Falcao e Zico, di Socrates e Cerezo: a loro sarebbe bastato un pareggio per andare in semifinale, all’Italia no. L’Italia aveva segnato due gol all’Argentina di Maradona, prendendone uno, il Brasile pure ne aveva preso uno, ma gliene aveva rifilati tre. Ma s’è mai visto un Brasile contentarsi di un pareggio?
E s’era mai visto Pablito? Fin lì era stato un Paolo Rossi qualunque come il suo nome, mica quel ragazzo dal fisico ugualmente qualunque che però sapeva, in area di rigore, cogliere l’attimo, fuggente per tutti, ma quasi mai per lui che rubava il tempo a ogni avversario.

Quanti attimi aveva colto e tempi aveva rubato in un passato a Vicenza e Perugia! Magari da adolescente Paolo Rossi aveva sognato di Juve, dove era approdato negli anni Primavera: presto le ginocchia avevano fatto crac, bisturi e menischi, legamenti e chirurghi. Forse una delle tante promesse fracassate sul nascere. Lo dirottarono a Como, lo vendettero a metà a Vicenza. Vinse il campionato in serie B e ne diventò capocannoniere. Storia di bella provincia.

La notizia della morte di Paolo Rossi sui media brasiliani

Fu un bel Vicenza in serie A, secondo dietro l’implacabile Juve, fu la scpigliata Nazionale che andò a giocare (e bene) il mondiale golpista d’Argentina. C’era poi la necessità di sciogliere la comproprietà Juve-Vicenza: si andava ale buste, all’epoca. Ogni società scriveva la sua offerta, si aprivano, si leggevano. Giusy Farina del Vicenza aveva scritto due miliardi e seicento milioni di lire, una quisquiglia al calcio d’oggi. C’è chi dice che Farina avesse avuto uno soffiata: la Juve offriva di più. Non era vero, restò a Vicenza. Che strano destino per il non ancora Pablito, uomo schivo e garbato, finire sovente intrappolato in qualche “affare”, lui che disse no alla meravigliosa napoletanità della vita proprio per tenere alla sua, appartata! Andà a Perugia: Franco D’Attoma, imprenditore e uomo di marketing, inventò, per permetterselo, lo sponsor di maglia e pantaloncini, che erano anche i suoi prodotti manifatturieri.

Trappole di soldi: una tombola galeotta, qualche amico di troppo, l’idea di un pareggio addomesticato con due gol garantiti, il calcio scommesse, la giustizia sportiva più severa di quella ordinaria che assolse, due anni di squalifica scadenza 1982. Un’altra polemica sarebbe venuta fuori per esclusive fotografiche di matrimonio e figli: così fan tutti, compresi Harry e Meghan.

Ma ora, per l’appunto, era l’anno dei mondiali, quello dell’82. Giocò il fimale di stagione, tre partite e uno scudetto, Bearzot (scandalo!) lo convocò. L’Italia partì stenterella, tre pareggi, chiacchierato quello con il Camerun, silenzio stampa, ma che ci faccio qui? Neanche un gol, all’inizio.

Poi venne il Brasile: Paolo Rossi si fece Pablito, i romani andarono sotto la finestra del Papa a sfotterlo quando battemmo la Polonia, Spadolini presidente del consiglio s’affacciò al balcone da cui anni dopo altri dichiararono sconfitta la povertà, Pertini volò a Madrid e tornò con la squadra e la coppa. Pablito fu capocannoniere di quel Mundial, campione del mondo e poi pallone d’oro, un triplete riuscito poi solo a Ronaldo il Fenomeno. L’Italia del popolo tifoso sembrò voltare nell’allegria delle strade le pagine di piombo che la stringevano. Grazie, Pablito per sempre, riposa in pace, “hombre del Mundial” per sempre.

 
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Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 02:11
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