​Mourinho, 10 sconfitte in una stagione e il fantasma del crollo di un mito: zero nemici vuol dire zero titoli

Martedì 13 Aprile 2021 di Benedetto Saccà
Mourinho, 10 sconfitte in una stagione e il fantasma del crollo di un mito: la solitudine degli (ex) numeri primi
1

ROMA Gli anni d’oro del grande Real sono belli che andati. E pure da tempo. E anche quelli della grandiosa campagna d’Inghilterra non si sentono tanto bene da un po’. Povero (povero è un’iperbole...) José Mourinho, ormai sempre più sinistramente avviato alla deriva completa verso i margini dei quartieroni nobili del calcio britannico – se non addirittura, e nientedimeno, e perfino europeo.

E così. E così il mito di Mou scolora e sgocciola via come l’acqua in un vecchio scolapasta di plastica residuato della casa al mare. Struggente. Foderato da un vestito di terrificante decadenza, José alla fantastica età di cinquantott’anni vaga per la Premier League più o meno consapevolmente alla guida del Tottenham ed è rotolato in una regione per lui tanto sconosciuta quanto orrenda. E cioè. Le terre della normalità. Drammone vero.

Come sempre accade in simili (e disdicevoli) fattispecie, a decretare l’atroce verità è la nullità di un dettaglio. Per cui, alle 19.28 di una qualsiasi domenica di primavera (ovvero l’altro ieri), il sempre informatissimo profilo Twitter OptaJoe ha pensato bene di ragguagliarci su un evento statistico in apparenza di pura cronaca ma in realtà capace di radere al suolo una leggenda. Leggiamo. «José Mourinho ha subito 10 sconfitte in campionato in una sola stagione per la prima volta in tutta la sua carriera manageriale. Declino». Testuale. Declino, sì. Una tagliola. Basta una parola, talvolta. Addio. O quattro, volendo. Tipo: non ti amo più. In questo caso, una e una soltanto: declino. Associata a Mourinho, equivale alla caduta della monarchia, al crollo di un impero, a un cataclisma intergalattico. Declino. Quanta irriconoscenza...

Eppure. Eppure nessuno potrà mai dimenticare l’arrogantissima grandeur di Mourinho. Ha vinto qualunque trofeo, ovunque, comunque, con chiunque e dunque: ha senza dubbio firmato la cartolina gigante della storia del calcio. Da Madrid a Milano, sbandando a Oporto e Londra. Certo, le sue squadre non hanno mai giocato un calcio paradisiaco, svolazzante, esteticamente scioccante. No, questo no. Mai. Guardiola è sempre stato di un’altra galassia, tanto per capirsi. Però lui ogni volta è riuscito a estrarre aggressivamente il meglio da ciascun giocatore.

E poi, ovvio, chiaro, logico, è sempre stato un tipaccio scontroso, tracotante, prepotente, permaloso, vagamente guerrafondaio, totalmente attaccabrighe, dispettoso come una zanzara, dondolante in bilico sul filo dell’antisportività. Ha regalato tonnellate di lavoro a noi giornalisti – fiumi di inchiostro, libri, libretti, libroni, articoletti e articoloni. Sempre. Un fuoriclasse della comunicazione: tanto da mettersi alla testa di eserciti mediatici e partire all’improvviso alla carica come un pazzoide, arrivando a studiare al micromillimetro ogni virgola, tutte le parole, le mezze frasi, le pause e pure le smorfie per ottenere minuscoli vantaggi, nemmeno fossero dettagli tattici di una partita.

E, oggi, invece. E, oggi, invece José cosa fa, dove sta, perché lo fa? Sembra appannato, opaco, velato, vitreo, pure un filino superato. Un leone stanco. Forse Garcia Marquez gli dedicherebbe L’autunno del patriarca. Chissà. Di certo il Tottenham alterna assurdità a follie, risultati francamente disdicevoli a prestazioni incomprensibili, successi da cinema a sberle da 70 tonnellate per volta. E si possono compilare allegramente fior di analisi tecniche, tattiche, statistiche, pure le analisi del sangue e del periodo. Poi però sulla superficie della vita vera rimane a galla la traiettoria di un viaggio dannatamente avviato verso il tramonto.

Povero (come sopra: è sempre un’iperbole) José. Costruisce inutili polemiche con le formine della propria creatività da Capitano Uncino come i bimbi sulla sabbia – domenica se l’è presa pure con Solskjaer, roba squallidissima – però non morde più nessuno. Allinea promesse deluse esattamente come quindici anni fa si divertiva a congegnare mostruose sorpresone. E soprattutto, tragicamente, maledettamente, spaventosamente: non ha più nemici. Eccolo il punto dolorosissimo. Zero nemici vuole dire zero titoli. 

Ha pure tentato (invero più o meno goffamente) la svolta giovanile, reinventandosi social media manager di se stesso in chiave ironica mediante apposita iscrizione (nientemeno che) a Instagram. La mossa ha anche funzionato, va detto, poi però il Nostro Eroe Decaduto si è stufato subito, da bravo geniaccio iperattivo e verosimilmente tarantolato. Forse ha temuto di rivelarsi troppo ironico e, nonsiamai, addirittura divertente.

Insomma. Non è più (il vecchio) Mou, però è ancora (il vecchio) José, il mito di sempre. E, prima di chiudere una carriera francamente gloriosa, cercherà senz’altro di indovinare una strada buona per tornare primattore. O allenattore, ché magari gli piace di più.

Ultimo aggiornamento: 09:01
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci