Basta refreshare la pagina Instagram di Sinisa Mihajlovic a pochi minuti di distanza, per vedere aumentare i follower a vista d'occhio. A 24 ore dall'annuncio della morte dell'allenatore serbo, il suo profilo social è cresciuto di circa 20mila unità.
Ma perché persone che non hanno seguito qualcuno fino al giorno della sua morte, devono farlo quando non avrà più nulla da dire o da raccontare? Lo stesso era accaduto con Kobe Bryant, un altro sportivo morto tragicamente e prematuramente. È una delle storture del nuovo mondo, dove esserci sempre è quello che conta.
Solo otto post e due profili seguiti
Mihajlovic non è mai stato uno "social". Si è iscritto a Instagram il 26 luglio 2021, con un messaggio semplice: «Ciao, eccomi qua». Tanti like e follower all'inizio, come spesso accade alle persone in vista. La sua attività si è limitata alle imprese del suo Bologna. Ha commentato, sempre sinteticamente, qualche vittoria. Mai nulla della sua sfera personale, niente sulla malattia. L'ultimo post pubblicato è arrivato pochi mesi più tardi, il 17 novembre 2021. Ha condiviso con orgoglio il riconoscimento di cittadino onorario che la città di Bologna gli ha conferito. Poi più nulla.
Appena 8 post in tutto e due profili seguiti, la Serie A e quello della squadra che ha allenato fino all'ultimo esonero arrivato lo scorso settembre, il Bologna appunto. Ha sempre lasciato parlare i fatti. Il mondo delle apparenze, quello social, non gli è mai appartenuto. Avrà "spiato" sua moglie, molto più attiva di lui, e le sue figlie Virginia e Viktorija, di cui era molto geloso. Ma non si è mai avventurato oltre. Non si fa fatica a capire il perché.
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