Maradona morto, il campione "contro" con aureola e peccati

Giovedì 26 Novembre 2020 di Piero Mei
Maradona morto, il campione "contro" con aureola e peccati

Diòs gli diede una mano un giorno in Messico nell’‘86.

Gli aveva dato anche due piedi che agivano come due mani di un uomo qualunque: davano carezze e ceffoni al pallone. Gli indicavano la via, la via del gol o quella d’un compagno che desse il colpo di grazia, senza poter sbagliare.

 
Quel Diòs a Diego Armando Maradona ha dato anche un numero, 10, “el diez” e due vite, che a un certo punto El Pibe de Oro mescolò e intrugliò in una doppia vita. La sua cifra era l’eccesso, i bassifondi e il trono, il peccato e l’aureola fino alla sua morte. Che è quasi letteraria: è la cronaca di una morte annunciata. Chi non se l’aspettava? Non sapevi dove, né quando: l’ha dribblata più d’una volta, come fosse uno di quegli inglesi birilli che superò tutti, portiere compreso, sempre a Messico ‘86, quella volta che vinse il mondiale da solo.
Certe volte, pensando alla sua vita numero due, quella che ebbe inizio quando lo si scoprì preda della cocaina (fin dai tempi di Barcellona) e poi dell’efedrina allo scopo di liberarsi di quei chili di grasso che avrebbero potuto impedirne ogni volo, vero e no, ci si chiedeva come fosse ancora vivo, tra quei suoi angeli divenuti demoni.

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Una volta lo salvò l’amicizia calda di Fidel Castro: coincidenza di macabra poesia, il Lider Maximo è morto lo stesso giorno, il 25 novembre, come del resto un altro classico del “genio e sregolatezza” nello sgangherato ma anche ispiratore mondo del calcio, George Best.
Amico di Fidel, perché Diego ebbe qualche amicizia di potere; ma quante di più ne ebbe nelle povere strade d’Argentina, e a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, però anche a Posillipo, l’anima sofferente e allegra di quella città così bella che ora, intera, lo piange e vorrebbe, tra i suoi “mille culure” questo squarcio di azzurro Maradona per consolarsi del dolore. Diego napoletano non lo era di nascita, ma di cuore sì. Se ha avuto amici potenti, si è scelto anche potentissimi nemici, i Poteri Forti del pallone che ha combattuto per quel che ha potuto e che lo hanno atteso al varco delle sue debolezze, all’inizio di quella sua “vita di dopo”.

 


Dopo cosa? Dopo aver vinto due scudetti a Napoli che non ne aveva vinti mai; dopo aver vinto un mondiale con l’Argentina che ne aveva vinto uno solo, un mondiale intimorito dai perfidi generali in armi, ogni oppositore un desaparecido. «Gioca come sai», gli dicevano gli allenatori fin da adolescente, un solo paio di scarpe da consumare sull’asfalto, sulla terra, sull’erba. Un passaggio a Barcellona e poi lo sbarco a Napoli. Che sbarco, ragazzi! Un uomo solo in campo fra migliaia di uomini che affollavano il San Paolo. Un palleggio bastava al fuoco dei sogni. Del resto «fa come me con un pallone, solo che lui lo fa con un’arancia», diceva Platini.
Con un pallone trovò la felicità, sua e di un popolo, quello di Masaniello e di Totò, di San Gennaro e di Eduardo, che la cercava da sempre. Un viceré, uno scugnizzo, un terno al lotto, un uomo tragico e geniale, un Mohammed Alì e un Pietro Mennea, a sfidare mica soltanto un terzino come Goikoetxea che ti rompe una gamba (e lo aspetti, la prossima volta, tanto verrà, Dio c’è e mi darà una mano, ancora) piuttosto un Potere, un conformismo, un perbenismo fino all’eccesso di sfidare il “perbene”.

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E lì perdersi. Dov’era più quel luccicante oro di Napoli? Era un altro Maradona. Poteva sembrare il clown di Diego, ne era forse la maschera tragica che consumava se stesso, mangiando e bevendo, digiunando e bevendo, bevendo e bevendo. Era l’eroe maledetto che ispirava parole e musica di poeti veri e veri musicisti. Ma la poesia era la sua, e che musica durante la prima vita.


Nessuno sa se fu il più forte di sempre. Come si può dirlo? Fu, come si dice della differenza fra Coppi e Merckx, il più grande. Quello che gli è stato accostato fra gli argentini, Leo Messi, gli ha scritto «ti mando tutta la forza del mondo» poco tempo fa, prima che Diego compisse sessant’anni il 30 ottobre, quando il “Pibe de oro” inciampò in casa, si procurò un ematoma cerebrale, fu operato, ripreso per i capelli, uno dei quali, d’epoca, sta chiuso in una teca in un bar di Napoli che è un santuario di Maradona.
Quello che gli è stato più contrapposto nella graduatoria dell’eccellenza, Pelè, («Maradona è cchiù meglio ‘e Pelè») gli ha mandato ieri un pensiero speciale: «Un giorno giocheremo a calcio insieme nel cielo».

Ultimo aggiornamento: 15:10
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