Galeazzi, Jacopo Volpi: «Giampiero per noi più giovani è stato sempre il Maestro. Sue le migliori interviste. E quel pomeriggio a Marassi...»

Venerdì 12 Novembre 2021 di Ugo Trani
Galeazzi, Jacopo Volpi: «Giampiero per noi più giovani è stato sempre il Maestro. Sue le migliori interviste. E quel pomeriggio a Marassi...»

«Indimenticabili le serate con Giampiero. Come le giornate passate insieme nella sede di via Teulada o quelle a seguire un avvenimento». Jacopo Volpi, classe 1957, è uno di quei colleghi cresciuti accanto a Bisteccone Galeazzi. A lavorare per lo sport del Tg1 e più tardi per il Tgs e Raisport. Con Tito Stagno a guidarli, diversi giovani sono cresciuti accanto a Giampiero: Fabrizio Maffei, Claudio Icardi, Marco Franzelli e Giovanni Bruno. I ragazzi di quella redazione di inizio anni Ottanta, allestita da Sandro Petrucci e arricchita da big come Alfredo Pigna e Paolo Rosi. «Ma a dare spettacolo era sempre lui», insiste Volpi.

Allora cominciamo con i ricordi.
«Meravigliosi.

Avevamo accanto un pazzo scatenato. Che però noi giovani abbiamo sempre chiamato Maestro. Bucava il video come nessun altro. Quando andava in campo con il microfono non aveva nemmeno la necessità di fare la domanda. Una risposta la portava sempre a casa. La migliore, la più interessante. E di lui si fidavano i campioni. E si lasciavano andare. Falcao, Maradona e Rummenigge. Lui ha sempre riportato in redazione interviste splendide. Dispiaceva buttarne anche solo qualche parola».

Il Maestro è riuscito a trasmettervi qualche suo segreto?
«Non era il tipo che si metteva a insegnare o a spiegare. niente. Ma bastava seguirlo, guardarlo. Lui ha sempre avuto un grande senso della notizia. Sapeva dove andare e da chi. E non scriveva male. Poi cercava, con il suo stile, di darci anche una mano...».

Come?
«Una volta dovevo commentare un servizio con 36 reti di serie B. Ero proprio all’inizio della carriera, avevo 24 anni. Gli chiesi di restarmi accanto in diretta, per darmi sicurezza. Giampiero si presentò per dirmi una frase che non mi tranquillizzò affatto: “Jacopo, se perdi il primo sincron, perdi tutt’e trentasei le reti. Ci vediamo al ristorante”. Era così, poi però il post lavoro era uno show».

Più showman o professionista?
«Sul lavoro, a modo suo, professionista. Sbagliava le pronunce pur conoscendo francese e inglese. Ma davanti al microfono riusciva sempre a improvvisare. Durante un mercoledì sport, non riuscivano a mettere in onda dalla regia nemmeno un servizio. Lui non sapeva più come fare per andare avanti. “Da leggere mi sono rimaste solo le farmacie aperte stasera a Roma!”, la battuta rivolta al regista. Oltre al video, la competenza. Conosceva il gioco, capiva il campione. Sapeva distinguere».

Come partecipava agli eventi che seguiva?
«Lui è stato un grande esperto di canottaggio, essendo stato anche campione italiano, e di tennis. Si trovava bene anche con il calcio, difficilmente sbagliava un giudizio. Preferiva fare le interviste, meno le telecronache. Tranne quelle di canottaggio. Lì capiva molto. Mi ricordo che mi diceva, quando vedeva qualcuno in vantaggio, di non dare per chiusa la gara. Io ricordo, ero con lui, quando gli Abbagnale vinsero il secondo oro. Lui lo sapeva dopo duecento metri, ma ha tenuto incollati gli spettatori fino al traguardo. Trasmetteva pathos e passione».

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Il gran fisico lo aiutava. Come era Giampiero visto dal campo?
«Quando giocavamo a calcetto lo chiamavamo Hrubesh: ricordate il centravanti della nazionale tedesca? Mi viene subito in mente il pomeriggio di quasi quarantanni fa a Marassi, il giorno del secondo scudetto della Roma. Entrò in campo con me e un altro collega, arrivò davanti allo spogliatoio giallorosso, si fece largo tra i poliziotti. Entrammo e lui chiuse subito la porta. Finite le interviste, la consegnò agli agenti. Salì subito sulla vespa di Giorgio Bubba per andare a montare il servizio nella sede di Genova. Nella finale Brasile-Italia a Pasadena, mondiale 1994, ci travestimmo da fotografi per andare in campo. lì prendemmo tante manganellate. Uno dei suoi colpi di genio dopo la sconfitta della Juve in Coppa dei Campioni contro l’Amburgo, quella con il gol di Magath a Zoff. Nessuno parlava. Giampiero avvicinò Tardelli davanti agli spogliatoi. “Se sei un uomo, vieni fuori”. Marco lo seguì. Fu un’intervista bellissima».

Vi siete divertiti tanto con il Maestro.
«Con le sue battute. E con quelle barzellette che raccontate da Giampiero facevano la differenza. Una sera al compleanno di Ancelotti in Piazza de’ Ricci ci raccontò la sua gara alle Olimpiadi del 68. Ogni particolare, compresa la voce in francese dello speaker al momento della partenza e la sua emozione in acqua. Vinsero l’oro, nel due con, Baran e Sambo. Lui a quei Giochi in Messico non andò, fece le gare preolimpiche dell’anno prima. A tradirlo fu l’altura, dovette rinunciare. Eppure in quella sera ci fece vivere la sua finale... Volevo scrivere un libro con lui, mettendo per iscritto i tanti aneddoti. Mi ha chiamato una settimana fa, voleva cominciare la riabilitazione in una clinica specializzata. La sua resistenza è stata la sua forza. Nel lavoro e fuori».

Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 05:48
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