Italia campione, la lezione dei 20enni che non aspettano (e giocano in attacco)

Martedì 13 Luglio 2021 di Alessandro Catapano
Italia campione, la lezione dei 20enni che non aspettano (e giocano in attacco)

Improvvisamente, anche per noi, noi italiani, la vita è adesso. E il dato è stupefacente, anche per gli effetti che dà: ci porta in una nuova dimensione, che non conoscevamo da un po', che - anzi -, molti di noi non avevano mai conosciuto. E il passaggio da questa specie di porta magica che è stato il nostro Europeo, è innanzitutto una faccenda molto intima, perché coinvolge la parte più segreta di ognuno di noi, la nostra personalità.

Ma siccome il Paese è fatto di persone, e di un tratto che le tiene insieme, finisce che questa faccenda diventa pubblica, perché modifica la cifra di una nazione.

 


ERAVAMO QUELLI DEL...
Ecco, un mese fa noi italiani calcisticamente ci riconoscevamo, e fatalmente venivamo riconosciuti da fuori, come quelli del catenaccio, del primo non prenderle, dell' «innanzitutto copriamoci, poi si vedrà», dei «campionati li vince chi incassa meno gol», ecc... E diciamo la verità, qualcosa (o milto) l'abbiamo vinta con questo approccio, ma avevamo cominciato a vergognarcene.

Italia campione, la lezione dei 20enni

 

Questa storia degli italiani brutti, sporchi e cattivi di cui non puoi fidarti e che non riesci proprio a rispettare, perché poi se possono ti fregano. Una tara che non riuscivamo a debellare, anche perché gli altri, i nostri avversari, ce la riproponevano sempre, al minimo episodio. E' successo anche in questo Europeo, con tutto che avevamo già cominciato a svelare la nostra nuova identità, nel quarto con il Belgio, quando Immobile si è accasciato a terra dolorante invocando un rigore, salvo scattare in piedi pochi istanti dopo per festeggiare il gol di Barella.

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E i Lineker e soci a dire i soliti italiani. Ecco, i soliti italiani domenica hanno giocato con il sostegno convinto di tutta l'Europa, e ieri sono stati celebrati con ammirazione e rispetto dai giornali di mezzo mondo, e non solo perché si è battuto l'Inghilterra della Brexit, degli hooligans. Ci siamo guadagnati il rispetto del mondo, perché in questa nostra nuova dimensione si gioca un calcio brillante, sempre nella metà campo avversaria, senza timori di scoprirsi troppo, con personalità, che però non sfoghiamo più nei duelli rusticani di un tempo, ma nelle manovre di gioco, e nel coraggio delle scelte tattiche e tecniche. E in questo mood, come si dice oggi, anche certe antiche tendenze a sbrasare vengono prese per simpatiche e condivisibili spavalderie. Così, il Bonucci che invita con gesti apotropaici i perfidi inglesi a mangiare ancora tanta pastasciutta, non indigna, fa sorridere.

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CI AUMENTA L'AUTOSTIMA
Ma quel che più conta, in realtà, è l'effetto che questa Nazionale produce su noi stessi, sulla nostra autostima. Se i nostri giocatori dimostrano di non avere complessi di inferiorità, nemmeno contro i padroni di casa, in uno stadio ostile, perché dobbiamo averli noi, nella vita di tutti i giorni, nelle nostre relazioni? «Mai più in difesa», quante volte abbiamo letto questo titolo, ma è proprio così: significa che non si torna più indietro, che al termine di questo romanzo di formazione degli italiani che è stato l'Europeo della nostra nazionale, siamo diventati adulti, e questa improvvisa maturità non ci spaventa, tutt'altro. Ci fortifica, ci responsabilizza, ci inorgoglisce. Ormai, per dire, non ci fa paura più nulla, nemmeno presentarci ai calci di rigore. Una volta, riaffioravano i dolori del passato. Oggi, i cuori in panne sono quelli degli avversari.


SÌ, LA VITA È ADESSO
Tutti i luoghi comuni sono stati ribaltati in questo mese. In un Paese di e per vecchi - senza offesa - in cui storicamente anche nello sport tendiamo a dilatare le carriere dei campioni - Totti, Valentino Rossi, Buffon, solo per citare gli ultimi grandissimi -, abbiamo vinto con una squadra nuova, fresca, piena di belle speranze, prospetti come si usa dire nel calcio. Molto spesso di squadre che un tempo avremmo definito provinciali, oltretutto. La generazione Qatar, la generazione dei Donnarumma, dei Chiesa e Raspadori, Barella e Pessina, degli Zaniolo che arriveranno, ecco le abbiamo già dato una responsabilità, ma è una generazione che ha già vinto, e questo è davvero incredibile in un Paese in cui ai giovani sono solitamente richiesti anni di gavetta, precarietà e sacrifici prima di ottenere garanzie, stabilità, successi. Ecco, questa nostra Italia è giovane e al tempo stesso solida nelle sue sicurezze. Non più soltanto nelle speranze.

 

Ultimo aggiornamento: 08:57
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