Ilicic, Bergamo lo riabbraccia dopo il lungo black-out

Lunedì 7 Settembre 2020 di Gianfranco Teotino
Ilicic, Bergamo lo riabbraccia dopo il lungo black-out

Sarà pur vero che gli uomini sognano più il ritorno che la partenza (cit. Paulo Coelho), ma a patto che sappiano per dove partono e da dove ritornano. Spesso per i campioni dello sport, apolidi per necessità di carriera, è davvero difficile distinguere: qual è la loro vera patria? Qual è la loro vera famiglia? Josef Ilicic, poi, è in fuga da quando era piccolo, piccolissimo. In fuga prima dalla guerra, poi dalle sue frustrazioni di giocatore incompreso, infine dai suoi demoni. Due mesi fa è praticamente scomparso da un giorno all’altro, protetto da una privacy sacrosanta. Un brutto periodo, ancor più complicato dei precedenti che, forse, si avvia alla conclusione. In queste ore è atteso il suo rientro a Bergamo: i compagni a Zingonia lo aspettano per riabbracciarlo, anche se per la ripresa dell’attività ci vorrà ancora un po’ di tempo.

DOPO LA JUVE
Se n’era andato dopo Juventus-Atalanta, la partita della grande illusione, svanita per quel rigore trasformato da CR7 proprio al 90’. Gasperini l’aveva mandato in campo da titolare, pur avendolo visto distratto nei giorni precedenti: forse proprio per quello, per cercare di dargli una scossa. Niente da fare. La lampadina, che si era spenta durante il lockdown, nemmeno quella sera si riaccese. Al diavolo fine del campionato e Champions League. L’unica era lasciarlo andare via, in Slovenia, perché riuscisse ad affrontare in pace i suoi problemi. Il presidente della Federcalcio locale, Radenko Mijatovic, ha raccontato di avergli parlato al telefono, di averlo trovato ancora scosso per quanto successo a Bergamo e in Italia nel periodo più acuto della pandemia, di essere ottimista, ma di non poter prevedere i tempi di recupero: «Josip mi ha detto che sta cercando di uscire da questa situazione con l’aiuto di specialisti».

L’UOMO IN PIÙ
Prima della pandemia, Ilicic era stato l’uomo in più dell’Atalanta dei miracoli: 21 gol e 9 assist da settembre a marzo. Tanto che negli spogliatoi nessuno lo chiamava più “nonnina”, il nomignolo che i compagni gli avevano affettuosamente affibbiato per i suoi continui lamenti per una condizione fisica un po’ così: «Ah, che dolori, che dolori» come il dottor Marsala radiofonico dei tempi di Alto Gradimento di Arbore e Boncompagni. Per tutti era tornato Iliciclone. Poi, dopo la sosta, il buio.
Nato in Bosnia, ma costretto da piccolo a riparare in Slovenia da profugo di guerra, orfano di padre a un anno, Ilicic fin da ragazzo ha vissuto di alti e bassi pallonari, tanto che a 21 anni, confinato nella squadra riserve dell’Interblock, aveva pensato di smettere. Lo salvarono prima il Maribor e subito dopo il Palermo. È in Italia che Ilicic ha potuto realizzare i suoi sogni, mai banali. Il suo idolo era un centrocampista giapponese, Nakamura, passato dalla Reggina. Voleva giocare con la maglia numero 27, ma al Palermo era quella di Pastore, per cui si dovette adeguare e invertì i numeri, 72, allora come oggi.

INDOLENTE
Trequartista con il fisico da centravanti, Ilicic, prima dell’Atalanta, ha spesso dato l’impressione di poter fare più di quel che faceva. “Troppo indolente” la critica più comune.

Chissà se già allora combatteva contro certi fantasmi. Nell’estate di due anni fa, ci si mise anche una bruttissima infezione batterica in bocca. Ricovero in ospedale e rischio di conseguenze addirittura letali: «Avevo paura di andare a dormire. Pensavo di non risvegliarmi più e di non rivedere la mia famiglia. Ci sono stati momenti in cui pensavo di non farcela». Come ce la fece allora, può farcela anche adesso. Di campioni vittime di male oscuro è piena la storia del calcio: di alcuni non si è mai venuto a sapere, altri, come Buffon, hanno poi raccontato la loro lotta contro la depressione. L’Atalanta darà a Ilicic il tempo di cui ha bisogno per uscire dalle sue angosce. Facciamo tutti il tifo per lui.


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