Falcao, i 70 anni dell'artista che esaltò la Roma dei giganti

Il compleanno del campione brasiliano che cambiò il destino del club giallorosso

Lunedì 16 Ottobre 2023 di Romolo Buffoni
Paulo Roberto Falcao

Mazinga, Goldrake e Jeeg Robot lo avevano anticipato di qualche anno, colorando le fantasie dei bambini della Generazione X.

Ma i nati tra il 65 e l'80 tifosi della Roma, il 10 agosto del 1980 conobbero un ragazzo brasiliano di Xanxerê con i riccioli biondi, la fronte spaziosa e lo sguardo puntato ben oltre l'orizzonte, destinato a sedersi nel pantheon dei supereroi. Quel ragazzo, Paulo Roberto Falcao, oggi compie 70 anni.

Un compleanno che non potrà mai passare inosservato per chi ha a cuore le sorti della squadra giallorossa a cui il Divino cambiò il destino. Perché se Francesco Totti per la bellezza di un quarto di secolo ha incarnato il sogno del ragazzo romano e romanista arrivato a trionfare da capitano con la maglia della Roma, nei suoi cinque anni di permanenza nella Capitale Falcao, il ragazzo venuto dall'altra parte del mondo, scrisse il vecchio testamento del club di Trigoria prendendolo per mano e portandolo a conquistare lo scudetto del 1983.

LA SFIDA ALLA JUVE

Tricolore vinto superando la Juve, in un duello che infiammò quegli anni di boom calcistico italiano. Una sfida che si giocò sui centimetri del gol annullato a Turone e di quello convalidato a Brio. Polemiche roventi, in punta di penna e di righello spedito dal presidente bianconero Gianpiero Boniperti al romanista Dino Viola e da questi restituito al mittente perché strumento «più adatto a un geometra come è lei che a un ingegnere come me». Polemiche che traslocarono anche ai Mondiali dell'82, dove gli azzurri fondati sul "blocco Juve" grazie alla tripletta di Pablito Rossi cancellarono il gol di Falcao, la sua esultanza particolarmente ricca di enfasi, e quel Brasile all-star che annoverava Zico, Socrates, Cerezo, Junior, Eder, Edinho, Oscar.


Falcao e quella squadra gigantesca formata da Di Bartolomei, Conti, Pruzzo, Tancredi, Nela, Maldera, in un pomeriggio di maggio allo stadio Marassi di Genova portarono dopo 41 anni di attesa i romanisti ad essere liberati "dalla schiavitù del sogno" come disse Viola, che a Roma lo portò a sorpresa al posto di Zico, acquistandolo dall'International di Porto Alegre seguendo il suggerimento dell'allenatore Nils Liedholm. Niente dribbling ubriacanti e colpi di tacco fatui: le "lame rotanti" e il "doppio maglio perforante" di Falcao erano il gioco a testa alta, con tocchi di prima, e il movimento senza palla che offriva ai compagni sempre un porto sicuro dove depositare il pallone. La sua corazza era la maglia numero 5 che, prima di lui, in Italia era appannaggio esclusivo degli stopper, operai del pallone delegati a francobollare i centravanti avversari. Grazie a lui, Liedholm oltre al marcamento a zona brevettò la "ragnatela", una serie di passaggi fitti e corti che irretivano gli avversari. Una danza che li stordiva, fino alla capitolazione.

LA RAGNATELA

Se ai giovani questa descrizione ricorda qualcosa è perché c'è stato il Barcellona del tiki-taka, quello "illegale" messo su da Pep Guardiola, a riproporlo sbaragliando l'Europa. La Roma di Falcao (e di Liedholm) arrivò a un passo dal primo gradino del podio continentale, disputando la finale di Coppa dei Campioni all'Olimpico contro il Liverpool e perdendola però ai calci di rigore. In quella notte del 30 maggio del 1984 i mostri di Vega ebbero la meglio sul Divino, che non si presentò sul dischetto per cercare di battere Bruce Grobbelaar, il portiere-clown che ipnotizzò Ciccio Graziani e Bruno Conti. I tifosi, tramortiti dall'atroce delusione, gridarono all'alto tradimento. Qualcuno dimenticò o, meglio, mise nel conto il fatto che Falcao non era mai stato fra i rigoristi di quella squadra che, senza di lui, mai sarebbe giunta ai confini della stratosfera. Per qualcun altro, invece, l'amore si raffreddò irrimediabilmente. Ci pensò un ginocchio malconcio nella stagione successiva a rendere velocissimo e ancora più amaro l'addio: Paulo Roberto Falcao nell'estate del 1985 risalì sulla sua navicella spaziale e tornò sul suo pianeta, il Brasile, lasciando a Trigoria 22 gol in 107 partite; uno scudetto; due coppe Italia e quell'indimenticabile notte di sogni, di coppe e di campioni.


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