Non è british l'atteggiamento.
Tifosi inglesi sabato a Roma. D'Amato: «Rispettare la quarantena». Londra: non partite
Rabbia Ue
Cautele comunque ritenute insufficienti da quei virologi convinti che il «picco indiano» non sia affatto stato raggiunto ma, al contrario, sia ancora in aumento. Non conforta oltretutto il dato emerso dopo la gara Scozia-Inghilterra, disputata a Wembley, lo scorso 18 giugno: le stime del Pubblic Health Scotland certificano duemila nuovi contagiati tra i tifosi scozzesi, 1300 nei festeggiamenti fra le strade e i locali di Londra, 400 all'interno dell'impianto. Sarà quasi stracolmo il 6, il 7 e l'11 luglio. Perché sono stati messi in vendita 180 mila biglietti (già quasi polverizzati quelli delle semifinali che variano tra i 195 e i 595 euro) sul sito web dell'Uefa per le ultime tre gare dell'Europeo, in barba a tutto e con un lampante paradosso: «Il Regno Unito da un lato impone restrizioni ai cittadini britannici che viaggiano nei Paesi Ue, dall'altro accetta una massiccia presenza di visitatori per assistere alle partite del torneo», l'attacco di uno dei vicepresidenti della Commissione Europea, Margaritis Schinas, supportato anche dai dubbi già manifestati dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dal premier italiano Mario Draghi, dopo il confronto con il Comitato tecnico scientifico.
Focolaio
Anche il direttore dello Spallanzani, Francesco Vaia, è preoccupato: «Sono stato il primo a sottoscrivere il protocollo per far ripartire il calcio, ma qui si rischia quanto accaduto con Atalanta-Valencia e il focolaio successivo. La Uefa non può ignorare la questione e riempire lo stadio, il mio invito si unisce a quello del premier Draghi a trovare un'altra soluzione al più presto». E il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, ribadisce il concetto: «Servono norme stringenti per contenere il virus, sulla finale a Wembley ho più di un dubbio». Eppure persino la Fifa fa orecchie da mercante al riguardo. Contano più il prestigio e il lato economico, garantiti da un paese aperto a tutto rispetto al nostro, piuttosto che il pericolo evidente dietro l'angolo. Insomma, mai come in questo caso, «The show must go on».
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