Alzi la mano chi ricorda l’ultimo successo della Roma all’Olimpico sull’Inter.
E così, la prospettiva di andare a giocare nell’Inter campione d’Italia, competere per lo scudetto e disputare la Champions, ha messo da parte una storia che avrebbe meritato il lieto fine. Dzeko ha fatto una scelta diversa e a onor del vero (visto quanto pesava d’ingaggio) non ha trovato nessuno a Trigoria disposto a fare le barricate per trattenerlo, se è vero che la sua cessione è avvenuta a titolo gratuito (con un bonus di 1,8 milioni da riscuotere eventualmente a giugno).
UN «9» DIVERSO
Servirà quindi del tempo per addolcire i ricordi su uno dei centravanti più importanti della storia della Roma. Più importanti e più discussi. Perché Edin, dal giorno del suo primo gol alla Juve - con tanto di corsa a braccia aperte stile Pierino Prati sotto la Sud - al suo ultimo acuto in amichevole contro il Debrecen, ha spesso diviso. Nemmeno le 119 reti (in 260 presenze: media 0,45) sono riuscite a fare da collante tra chi avrebbe voluto vederlo più preciso sotto porta e chi è rimasto deliziato dai gol e dalla capacità di sdoppiarsi in rifinitore. Un atteggiamento dovuto probabilmente a due fattori. In primis perché l’immagine di Edin rimarrà legata ad una Roma che alla fine non ha vinto nulla, nemmeno una Coppa Italia. E poi, perché negli ultimi 40 anni il tifoso giallorosso è sempre stato abituato al centravanti agonisticamente ‘cattivo’.
Per intenderci: gente come Pruzzo, Voller, Balbo, Batistuta e/o Montella. Soltanto il «Bomber» ha segnato più di Dzeko ma la traccia indelebile degli altri 4 è dovuta al loro cinismo. Caratteristica che Edin non sempre ha avuto, alternando stagioni da record (su tutte quella delle 29 reti in campionato) ad altre (addirittura 3) nelle quali in serie A non ha raggiunto nemmeno la doppia cifra. A Roma sanno che questa dovrebbe essere quella buona. E questo, acuisce il malumore.
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