De Zerbi: «Il mio calcio libero. La fuga dall'Ucraina? Esperienza terribile che mi ha segnato la vita»

Intervista al tecnico del Brighton

Sabato 25 Marzo 2023 di Stefano Boldrini
De Zerbi: «Il mio calcio libero. La fuga dall'Ucraina? Esperienza terribile che mi ha segnato la vita»

Roberto De Zerbi ha scelto un bel posto per tornare ad allenare dopo l'addio lacerante all'Ucraina, tredici mesi fa, in un viaggio romanzesco dopo avere trascorso alcuni giorni nell'hotel-bunker, mentre Kiev veniva ferita dalle prime bombe. Brighton è la città più open dell'Inghilterra: nel referendum per la Brexit, il 68,4% votò per restare nell'UE. De Zerbi è sbarcato in riva alla Manica con il suo calcio in valigia. Ha preso il posto dell'inglese Graham Potter, che aveva liberato i Seagulls, i Gabbiani, dopo salvezze faticose. Potter era amatissimo, ma ora nel cuore del popolo del Brighton c'è De Zerbi. In sei mesi, con i Gabbiani in volo verso la prima, storica partecipazione ad una coppa europea, ha messo a tacere gli scettici. Il nome del tecnico bresciano è nel radar di club importanti: il Tottenham, ad esempio.
Com'è cambiata la sua vita in tredici mesi?
«L'Ucraina mi ha segnato profondamente. Stavo lavorando ad un grande progetto. Quello Shakhtar, pieno di talenti e di gioventù, era la squadra dei miei sogni. C'erano le premesse per emergere anche a livello internazionale. E' stato spazzato tutto via dalle bombe. La guerra ha prodotto stupore, smarrimento, disagio. La mia generazione non ha mai fatto i conti con una realtà così cruda. La guerra per noi sono i racconti dei nonni e invece me la sono ritrovata davanti, con i suoi orrori. Fatichi a darti una spiegazione. Sprofondi in un incubo».
Una guerra annunciata, dopo un lungo conto alla rovescia.
«Il club ci disse che era solo un gioco, un braccio di ferro per mostrare i muscoli, ma alla fine non sarebbe successo nulla. Io però seguivo la tv italiana e avevo una percezione diversa. Quando cominciarono a circolare le immagini dei carri armati russi ammassati alle frontiere, temetti il peggio. Il discorso violento di Putin contro l'Ucraina mi fece capire che lo scoppio della guerra era questione di ore. Lasciai la casa alle sei del pomeriggio e insieme allo staff mi trasferii nell'albergo che ci ospitò fino al giorno in cui abbandonammo il paese».
Come si torna al lavoro dopo un'esperienza come questa?
«L'idea iniziale fu quella di stare fermo e aspettare, nella speranza che il conflitto finisse e il calcio in Ucraina potesse ripartire. Ad aprile arrivarono alcune proposte, ma ero scarico. In estate avvertii la voglia di ricominciare. E' maturata questa opportunità al Brighton e l'ho presa al volo. La squadra mi piaceva, anche se concettualmente lontana dalle mie idee. Ho trovato un ottimo impianto di gioco perché Potter è stato bravo. Ho cercato piano piano di sviluppare il mio calcio e la cosa sta funzionando, grazie alla disponibilità del gruppo. Il nucleo storico, composto da Dunk, Lallana, Welbeck, Gross e March, è fondamentale. Considero Dunk, il capitano, tra i cinque migliori difensori centrali d'Europa. Poi ci sono i talenti, come Caicedo, MacAllister, Mitoma e Ferguson. In porta ho dato fiducia a Steele. Mi dispiace per Sanchez, ma Steele è più adatto al mio calcio».
A che cosa si è affidato per reggere l'urto della Premier?
«Ho puntato su quello che sono e sulle mie esperienze: l'Ucraina e il passato di giocatore inespresso. Mi considero baciato dalla fortuna perché il calcio mi ha dato una seconda possibilità».
Che cosa non funzionò da giocatore?
«Commisi errori personali e fui vittima dell'applicazione rigida del 4-4-2: sacrificò quelli come me».
Aveva mai pensato alla Premier?
«Onestamente non ero attratto dal calcio inglese. L'Arsenal di Wenger e il Manchester City di Guardiola mi piacevano, ma li consideravo exploit isolati. Una volta sbarcato qui, è stato un colpo di fulmine».
Le ragioni della folgorazione?
«Organizzazione, passione, spensieratezza.

Essere spensierati non significa affrontare la professione a cuor leggero, ma lavorare con la testa giusta».

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Guardiola ha elogiato il suo Brighton.
«I complimenti di un personaggio come Pep ti spronano a dare ancora di più. Io coltivo l'ambizione. Non va confusa con l'arroganza: è il desiderio di realizzare qualcosa d'importante con le mie idee».
Il traguardo immediato?
«Il Brighton in Europa. Non so quale, ma che sia Europa».
Un'esperienza particolare vissuta in questi sei mesi?
«La partita di Leeds. All'Elland Road si respira ancora l'aria di Bielsa. Tempo fa trascorsi una settimana con lui: un uomo straordinario».
Ha portato il Brighton in semifinale di FA Cup: a Wembley affronterete il Manchester United.
«La semifinale non è un punto di arrivo, ma una tappa cruciale per allargare gli orizzonti».
Le giovanili al Milan, dodici squadre da calciatore, sette da allenatore: dove ha lasciato il cuore?
«Crescere nel Milan degli anni Novanta mi permise di studiare i campioni di quell'epoca. Foggia mi ha dato tanto. Brescia è la mia città e indossare quella maglia era il mio sogno. Lo Shakhtar mi ha conquistato: ho faticato a togliermi quella squadra dalla testa».
L'Inghilterra seduce per il binomio calcio-musica: anche per De Zerbi è così?
«Il calcio è bellissimo, ma musicalmente il mio riferimento è Vasco Rossi. Appartengo al popolo di Vasco, da sempre».
 

Ultimo aggiornamento: 08:56
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