Sergio Ottolina, morto a 80 anni l'eroe di un altro tempo che volò tra Berruti e Mennea

Nella sua storia sportiva fu finalista nei 200 a Tokyo ’64

Venerdì 28 Aprile 2023 di Piero Mei
Sergio Ottolina, l'eroe di un altro tempo che volò tra Berruti e Mennea

C’è stato un tempo, pure se non sembra vero, che lo sport era così.

Il tempo di Sergio Ottolina, che è scomparso ieri: aveva ottant’anni. Che tempo e che tempi! Fece lui il primato europeo dei 200 metri, correndoli in 20.4 a Saarbrucken nel 1964: limò di un decimo il 20.5 di Livio Berruti che era stato il mondiale d’oro a Roma ’60.

Quanto ai tempi della vita, nella sua storia sportiva Ottolina fu finalista nei 200 a Tokyo ’64: partì a razzo e arrivò ottavo stremato; lo fu anche a Messico ’68, e stavolta arrivò settimo nella finale dei pugni chiusi sul podio, delle risse razziali al Villaggio tra chi difendeva Smith e Carlos, e chi invece l’ipocrita sacralità delle Olimpiadi e dello sport: Ottolina stava tra i primi.

Furono quelle le sue due Olimpiadi: a Roma era troppo giovane e aveva cominciato appena a fare le gare studentesche che prima non voleva fare, “devo studiare” disse, “saresti esentato dalle lezioni” gli risposero, “eccomi” fu il passo successivo e sconfisse quelli di due classi più grandi. A Monaco era troppo spezzato: tre vertebre e un calcagno vittime di un incidente in moto poco tempo prima.

Sergio Ottolina è morto, atletica in lutto: stabilì il primato europeo dei 200 metri

Andò in Sudafrica: mandava alla “Gazzetta” resoconti firmati a nome di Otto Krumenacher, che era lo starter di Zurigo, e raccontava gli allenamenti di un ragazzo che, presa la cittadinanza italiana l’anno dopo per via del padre Gregorio, musicista finito laggiù come prigionieri di guerra degli inglesi, fece il mondiale degli 800: si chiamava Marcello Fiasconaro.

La moto! Una volta comparve su una di quelle dell’organizzazione al Giro d’Italia, aveva in mano la lavagnetta che segnava i distacchi ed era al fianco dell’uomo in fuga: era Eddy Merckx. Passarono tre anni ed a Cortina si facevano le selezioni per il bob: un equipaggio a quattro arrivò terzo e niente Giochi di Innsbruck. Lo spingitore era Ottolina.

Sì, era un altro sport. “Era divertimento” ha detto lui una volta, rimpiangendo le sere passate ad ascoltare “Il cielo in una stanza” o a leggere Hemingway, e fantasticare di mari e squali. E di atletica. Era un’altra atletica, era Berruti.

Ottolina gli faceva mille scherzi: Livio ci teneva al total white dello sponsor, e Sergio gli dipingeva le scarpe di nero; Sergio mandava partecipazioni di matrimonio di Berruti ed a Livio arrivavano regali che non sapeva come restituire. “Se sono diventato quattrocentista, lo devo a lui”, raccontava Ottolina. E spiegava che una volta a Carpi c’erano i 100, c’erano lui e Livio. A berruti regalarono un cavalletto per la macchina fotografica, e Ottolina fece “e a me?”. Risposta: “Niente”. “Allora ho male alle gambe e faccio i 400”. Fece anche, sul giro di pista, nel 1965, il record italiano, battendone uno che resisteva da un quarto di secolo. A lui lo tolse, sei anni dopo, quel ragazzo del Sudafrica.

La lunga sfida con Berruti fu il diavolo e l’acquasanta, ma vallo a sapere chi era chi. Poi venne Pietro Mennea.

Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 12:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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