Sara Simeoni: «Senza pubblico non sono veri Giochi»

Martedì 20 Luglio 2021 di Alessandro Catapano
Sara Simeoni: «Senza pubblico non sono veri Giochi»

Dal monte Baldo la vista sul Garda riconcilia con la vita. E lenisce i dolori. «Passeggiate tranquille, mio marito si è rotto il tendine del quadricipite, è ancora in convalescenza. Prima o poi torneremo a fare le nostre scalate». E i dolori del cuore? «Ieri mattina mi hanno chiamato per dirmi che è mancato Stekic, così, improvvisamente. Un paio di anni fa, era passato da casa mia, di ritorno dal meeting di Rovereto. Povero Nenad, ci allenavamo insieme a Formia, mi dispiace tanto, porterò nel mio cuore anche lui». Il cuore di Sara Simeoni è grande. C’è posto per i tanti compagni di viaggio che se ne sono andati, come Nenad Stekic, lunghista jugoslavo con cui fece i Giochi di Montreal e Mosca. C’è posto per i tanti studenti a cui, per anni, ha trasmesso la passione per lo sport, e i suoi valori. Da un anno ormai, la professoressa Simeoni è in pensione. «Mi mancano, certo. Ma vi assicuro che fare l’educazione fisica a distanza è una pena. Già era un dramma prima del covid, lo sport a scuola, ora è ancor più penalizzato. Peccato, perché proprio in queste condizioni diventa fondamentale, dovrebbe essere valorizzato». 
Sara Simeoni, un oro e due argenti olimpici nell’alto, prima donna a superare i 2 metri, votata atleta italiana del secolo. Pronta a un’Olimpiade senza pubblico?
«Sarà che oggi sono soltanto una spettatrice, ma no, decisamente non sono pronta, la mancanza di pubblico mi intristisce e mi fa temere che suoni tutto un po’ finto».
Lei li avrebbe annullati i Giochi?
«È una domanda complicata e non ho una risposta, vista la straordinarietà della situazione. E mi rendo perfettamente conto che i Giochi di Tokyo, seppure blindati, sono una risposta ad una guerra planetaria, perché questo è il covid. Però il calore umano in un’Olimpiade è fondamentale, è la componente sentimentale del nostro mestiere. Io sono stata abituata agli stadi pieni, alle ovazioni, alle attese in silenzio, agli ooh di stupore. Agli incitamenti, a volte commoventi. Non dimenticherò mai cosa accadde nei diecimila a Montreal, gli applausi che lo stadio tributò in piedi a un australiano aborigeno doppiato da tutti. L’ultimo giro fu incredibile. Mi dispiace per gli atleti di oggi, che si perdono tutto questo, ma forse si sono abituati nell’ultimo anno e mezzo».
Lei ha vissuto la Monaco del terrorismo e i Giochi dei boicottaggi. Oggi gli atleti si preparano alle gare con l’incubo di contagiarsi. Come si fa a mantenere la serenità?
«Un atleta che parte per un’Olimpiade è super controllato, spero che prevalga la voglia di partecipare a un evento straordinario e di mettersi alle spalle anche tutto quello che è successo, e poi quando si è giovani come sono gli atleti ci si sente un po’ invincibili».
L’Italia arriva a Tokyo con il record di partecipanti, 384.
«Vado controcorrente. Oggi è più facile ottenere il pass, forse troppo facile. Ai miei tempi non era sufficiente nemmeno aver fatto il minimo di partecipazione, molti rimanevano a casa lo stesso. Mi chiedo se in questo modo non venga svilito un po’ il valore di questa competizione».
Parliamo di grandi atlete come lei. Federica Pellegrini si tuffa nella quinta olimpiade della sua carriera, poi dirà basta. Lei a Los Angeles ‘84 ci andò quasi in viaggio premio, poi stupì il mondo tornando sopra i 2 metri e vincendo l’argento.
«Non ci credevo nemmeno io, in effetti. Avevo fatto il minimo a inizio stagione, poi più niente. Avevo pure lasciato Formia, ero tornata a casa, non riuscivo nemmeno a saltare. E poi... che dire? Lo sport è incredibile».
Lasciò due anni dopo, da campionessa d’Italia.
«Ma non perché non mi piacesse gareggiare, solo non aveva senso continuare con chi aveva 10-15 anni meno di me. Forse è la stessa cosa che pensa la Pellegrini, a lei dico solo che la vita è fatta così, lo sport può essere crudele, ma è una parabola, lei ha fatto dei grandissimi risultati, dovrà essere sempre orgogliosa e soddisfatta». 
Lei a Los Angeles fu anche portabandiera.
«Sì, e mi venne comunicato che eravamo già in California, mi chiamò Mario Pescante. Fu una gratificazione enorme per me, e non guardai tanto quando dovevo gareggiare. Anzi, credo che quell’onore mi abbia dato una motivazione in più, mi sono sentita più responsabilizzata. Faccio un grande in bocca al lupo a Jessica Rossi ed Elia Viviani, che oltretutto è di Verona come me. Ragazzi, è un grande onore. E viva la parità di genere, ci tengo a dirlo».
Quale consiglio può dare invece ad una giovane debuttante come la Pilato?
«I ragazzi oggi sono mentalmente più preparati di noi, e hanno tante persone intorno che gli danno consigli. Stia tranquilla, pensi che avrà altre occasioni, ma non sottovaluti nulla, curi tutti i dettagli». 
Larissa Iapichino non ci sarà.
«Mi è dispiaciuto tanto, ma ha una vita davanti, adesso pensi a guarire e a crescere». 
Come sta l’atletica italiana? 
«Se guardiamo i risultati a livello giovanile, stiamo benissimo. Quest’anno hanno dato tutti il meglio, facendo il personal best, speriamo che anche a Tokyo arrivi finalmente qualche impresa in pista».
Ecco, un’impresa sarebbe...
«Un italiano nella finale dei 100, me lo auguro con tutto il cuore, sarebbe davvero un bel segnale per tutto il movimento».
E Tamberi?
«È stato bravissimo a tornare su certe misure dopo quell’infortunio terribile, però è ancora molto discontinuo. Dalla sua, il fatto che nell’alto maschile i giochi siano davvero apertissimi. Sarà fondamentale saltare tranquillo nelle qualificazioni. Forza ragazzo mio».
Chi è oggi il fenomeno dell’atletica mondiale?
«Non ho dubbi, Armand Duplantis. Veramente eccezionale, lo trovo così bello quando salta, armonico, e io ho avuto sempre una predilezione per gli atleti che interpretano il gesto in modo naturale. L’asta è un mondo che continua a progredire, davvero affascinante».
Cosa guarderà Sara Simeoni oltre l’atletica?
«La ginnastica, sicuramente. C’è Vanessa Ferrari, un’atleta fenomenale, una donna che non si è mai arresa. E a proposito di ragazze, io mi aspetto una medaglia dalle nostre pallavoliste, fortissime».
Quando chiude gli occhi Sara Simeoni, dove la porta il cuore? 
«Al campo scuola di Verona dove saltavo da ragazzina, prima all’italiana e poi a forbice.

Non c’era nemmeno il saccone, per fortuna i giovani oggi possono cominciare subito in sicurezza».

Ultimo aggiornamento: 09:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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