Volley, Zaytsev: «Fiero di quest'Italia diversa e rosa»

Sabato 17 Luglio 2021 di Gianluca Cordella
Ivan Zaytsev

Bronzo a Londra 2012, argento a Rio 2016. Ivan Zaytsev torna alle Olimpiadi per continuare la serie ed esorcizzare quell’oro a cinque cerchi che diverse versioni dell’Italvolley avrebbero meritato ma che nessuno è mai riuscito a mettersi al collo. 
Zaytsev, dove eravamo rimasti..?
«A quell’argento di Rio, un grandissimo risultato, per carità, anche se personalmente sto ancora rosicando per quella finale persa con il Brasile. Finalmente dopo cinque anni abbiamo la possibilità di toglierci l’amaro in bocca».
Più facile giocare con la torcida verdeoro che tifa contro o con il silenzio assordante che ci sarà a Tokyo?
«Sarà peggio questa volta. Il silenzio totale per me è destabilizzante. Noi siamo come attori di teatro che aspettano la reazione del pubblico. La carica in fin dei conti ti arriva anche dal tifo contro. Purtroppo ci siamo abituati anche al silenzio, ma essendo questa un’Olimpiade diciamo che il silenzio si sentirà un po’ di più. L’aspetto psicologico quest’anno sarà predominante, se non addirittura decisivo».
L’Italia degli sport di squadra ha festeggiato due grandi imprese: il colpo in Serbia del basket che torna ai Giochi e il trionfo europeo del calcio.
«Mi sono arrivati un sacco di messaggini, tra social e amici. Tutti con un unico concetto: “Ora tocca a voi”». 
Exploit di questo tipo veicolano sempre qualche messaggio da tramandare.
«Queste due imprese in particolare hanno esaltato il concetto del crederci sempre, anche quando nessuno lo fa, a parte te. Diversi giocatori dell’Italia del calcio erano reduci dalla mancata qualificazione ai mondiali e dagli insulti dei tifosi più beceri. Molti dei quali in questi giorni li hanno osannati». 
E la sua Italvolley quale messaggio può lasciare?
«Che tutti sono indispensabili, che tutti possono dare qualcosa in più per arrivare alla vittoria. Durante un percorso di avvicinamento a un grosso evento come le Olimpiadi ci sono una sacco di dettagli che non traspaiono quando guardi la partita e basta. Ma che poi alla fine possono essere decisivi per il successo». 
Dopo Rio sono mancati i risultati. Come mai?
«Escludendo i Mondiali in casa, finiti alle porte delle semifinali, non ci sono state poi troppe occasioni per mettersi in luce per via della pandemia. Le altre competizioni, tipo la World League, sono state usate per far crescere i ragazzi e ora questa cosa ci sta aiutando. È stato fatto un percorso in chiave Tokyo». 
Che nella griglia olimpica vi colloca dove?
«Io ho un concetto romantico di sport e penso che si parta sempre tutti con le stesse possibilità. Il livello della pallavolo mondiale si è molto livellato. Non esistono favoriti d’obbligo, non esistono outsider. E l’emotività alla vista di quei cinque cerchi può giocare brutti scherzi...».
Lei è figlio di genitori russi, Myriam Sylla ha papà e mamma ivoriani. E siete i capitani delle due nazionali di volley. L’Italia ha scoperto finalmente il multiculturalismo?
«Forse un po’ tardi. Per me questa cosa non sarebbe nemmeno da sottolineare, io e Myriam tra l’altro siamo nati in Italia. Anche se abbiamo dovuto dimostrare più di altri di essere italiani. Ma adesso andiamo alle Olimpiadi con quella fascetta al braccio, quindi direi che ci siamo riusciti».
Da quando accompagnò i suoi figli a fare i primi vaccini fino agli addii alle squadre in cui ha giocato: la costante è che spesso è stato insultato dai suoi stessi tifosi. 
«Il mondo vuole vedere le persone secondo le proprie aspettative, non per quello che sono realmente. A me piace ricevere le critiche, purché abbiano qualcosa da insegnarmi. Su quelli che insultano sui social perché non la pensi come loro non vale la pena nemmeno di spendere due parole».
La pandemia ci ha reso la vita impossibile nell’ultimo anno. Lei ci ha messo del suo andandosene a giocare in Siberia...
«È stato l’anno più difficile della mia carriera. La lontananza dalla famiglia è stata dura. Ma per arrivare in alto bisogna fare grandi sacrifici, molte persone questo non lo capiscono. Vedono solo il prodotto finito e ti giudicano solo se hai vinto o se hai perso. Ma ora sono ancora più carico per le Olimpiadi».
Ora torna a Civitanova. Operazione alla Benjamin Button?
«Sì, provo a ringiovanire tornando alle origini. Bello ritrovare le facce e le emozioni provate negli anni di A2 e volevo la possibilità di tornare a giocare per il tricolore».
Nel suo passato c’è Roma, che ritrova la Serie A con le ragazze. Come sempre senza una “casa”... 
«Bisognerebbe avere un po’ di lungimiranza e un minimo di educazione civica. Basta vedere in che condizioni è stato abbandonato il PalaTiziano, che è la casa perfetta per la pallavolo. Per fortuna leggo che qualcosa si muove». 
A proposito di ragazze: alle Olimpiadi l’Italia non ne ha mai portate così tante.
«Lo sport italiano ha sempre avuto una cultura forte per lo sport al femminile, ma questa volta abbiamo fatto davvero il botto. Strafelice di far parte di una delegazione così numerosa e rosa».
Domanda di rito: prima cosa messa in valigia?
«Il caffè.

Non si sa mai».

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