Joshua contro Fury: doppia sfida per unificare i Massimi, sognando Wembley (con i tifosi)

Mercoledì 17 Marzo 2021 di Gianluca Cordella
Joshua contro Fury: doppia sfida per unificare i Massimi, sognando Wembley (con i tifosi)

I 90 mila di Wembley del 29 aprile 2017 - quando l’idolo di casa Anthony Joshua ebbe la meglio sull’eterno Wladimir Klistchko - resteranno forse ineguagliabili. Ma i segnali che si leggono tra le righe dell’accordo firmato sabato scorso dai due re dei Pesi Massimi sono abbastanza significativi. Da una parte Joshua, per l’appunto, detentore delle cinture Wba, Wbo, Ibf e Ibo, e dall’altra Tyson Fury, campione della Wbc. Il primo con sangue nigeriano, nato a Watford. Il secondo, di origine nomade, venuto alla luce a Manchester. Un derby, insomma. Anzi, il derby, quello che il mondo del pugilato britannico stava aspettando dal 2018, da quando, cioè, Fury si è riaffacciato sul ring dopo i problemi di alcol e droga e il conseguente ritiro della licenza e delle cinture mondiali soffiate nel 2015 a Wladimir Klistchko (che in questi intrecci, di riffa o di raffa, è finito spesso e volentieri nel mezzo). Non solo per lo scontro campanilistico che oppone due personaggi e due visioni del pugilato così diverse - il campione olimpico colto e pulito e il boxeur gitano, “sporco” e dannato - ma anche perché in palio c’è la riunificazione delle cinture che ha salutato il mondo dei Massimi nel 2000, con l’uscita di scena di Lennox Lewis. Guarda caso, un altro britannico. Insomma, troppi incroci e troppi significati per non supporre che si farà qualsiasi cosa pur di far disputare l’incontro nel Regno Unito. A patto - Ceferin docet - che si possano incrociare i guantoni con del pubblico urlante intorno. E la tipologia dell’accordo va in questa direzione. Due incontri, sfida e rivincita, da disputarsi entrambi nel 2021. La prima uscita probabilmente a giugno, la seconda in inverno. Due finestre che, stando al passo di carica delle vaccinazioni inglesi (erano 20 milioni a fine febbraio, un terzo della popolazione, record in Europa) dovrebbero consentire di aprire l’arena di turno al pubblico e di allargare smodatamente i portafogli dei promoter e degli atleti stessi. La cornice ottimale, nemmeno a dirlo, sarebbe ancora Wembley, che il 15 maggio - con la fine delle restrizioni anticipata di due giorni - potrebbe accogliere i tifosi del calcio per la finale di FA Cup. Londra, in definitiva, si candida simbolicamente al ruolo di ombelico del mondo del grande sport post-pandemico. Per la felicità di Boris Johnson

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LA CLAUSOLA
Il promoter Eddie Hearn, amministratore delegato della Matchroom Sport di Joshua, ha spiegato che, messe insieme le firme dei due campioni, è scattato il countdown di 30 giorni per individuare le date ufficiali e soprattutto il site delle sfide. Se non si troverà l’intesa tra le parti l’accordo non sarà più valido. Ma, insomma, è opinione comune che la parte più difficile dell’operazione sia quella già risolta: far convergere le intenzioni dei due campioni. «Abbiamo già ricevuto offerte da otto o nove siti - ha svelato Hearn - dal Medio Oriente, dall’Asia, dall’Europa orientale e dall’America». Probabilmente un modo per mettere pressione a chi dovrà muoversi sul versante interno per “sbloccare” Wembley. Anche se non bisogna dimenticare che per la rivincita tra Joshua e Ruiz Hearn è riuscito a ottenere una cattedrale nel deserto saudita, nelle rovine dell’antica Diriyah.

E accaparrarsi il match più atteso garantirebbe ai ricchi Paesi mediorientali un ritorno di immagine notevole. Ma chi non vorrebbe vedere due inglesi che si sfidano a Wembley? Forse solo qualche ricco sceicco.

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