Nnachi e gli altri senza cittadinanza: ora anche la Fidal chiede lo ius soli

Martedì 3 Agosto 2021 di Mario Nicoliello
Nnachi e gli altri senza cittadinanza Ora anche la Fidal chiede lo ius soli

Un texano del Garda, che parla più facilmente il romanesco dell'inglese, ma ha la pelle scura e, soprattutto, un nome e un cognome esotici, diciamo così, per i vecchi canoni italici. Vecchi, ormai superati, perché invece l'Italia dell'atletica, dei Marcell Jacobs e delle Daisy Osakue - una settantina di ragazzi e ragazze con un terzo abbondante che un tempo avremmo definito oriundi - è la fedele rappresentazione del Paese, di come stia diventando, anzi di come è già diventato, anche se qualcuno si ostina a non rendersene conto. E allora quelle dichiarazioni del presidente del Coni Giovanni Malagò, secondo il quale «non riconoscere lo ius soli sportivo è aberrante e folle», non riguardano strettamente il caso di Jacobs - cui la nostra cittadinanza non è mai stata negata in quanto figlio di italiana -, ma riaccendono nuovamente i riflettori su tutte quelle storie di giovani atleti che pur essendo nati in Italia, ma da genitori stranieri, non possono vestire la maglia azzurra nelle competizioni internazionali in quanto non possiedono la cittadinanza italiana.

Da qui, l'esigenza di passare dallo ius sanguiniis a un vero e proprio ius soli sportivo, che consenta a questi ragazzi non solo di essere tesserati in Italia e partecipare ad attività federali, cosa che già oggi possono fare, ma anche di vestire la maglia azzurra prima dei 18 anni. Un non problema, per Matteo Salvini e altri esponenti della Lega.

Chi sono i penalizzati

In realtà, è un problema che coinvolge circa 800mila ragazzi in Italia. Emblematica al riguardo è la storia di Great Nnachi, nominata alfiere della Repubblica dal Presidente Mattarella, eppure ancora impossibilitata a gareggiare con la maglia della Nazionale. Nata sedici anni fa a Torino da genitori nigeriani, Great è un talento del salto con l'asta, campionessa d'Italia nella categoria Allievi, poiché la Fidal è stata la prima federazione a consentire la partecipazione ai Tricolori ad atleti non cittadini italiani ma tesserati per i nostri club. «Quello di Great Nnachi è il caso più famoso, perché se ne è parlato tanto, ma non è l'unico», ci racconta Tonino Andreozzi, responsabile del settore giovanile della Fidal. «Le regole attuali della World Athletics ci impongono di schierare nelle rassegne internazionali esclusivamente atleti in possesso della cittadinanza italiana. Ciò esclude a coloro che sono nella situazione di Nnachi di poter partecipare a Europei o Mondiali di categoria, sebbene possano essersi laureati campioni o campionesse d'Italia».

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Non solo Nnachi

Una situazione paradossale che ci penalizza anche nel confronto con le altre nazioni del vecchio continente: «Chi nasce in Italia da genitori stranieri ottiene la cittadinanza a 18 anni, in Germania invece i nati nel paese da genitori stranieri hanno subito la doppia cittadinanza e al diciottesimo anno possono decidere per quale optare. In Francia la doppia cittadinanza si ha per sempre e l'atleta deve solo decidere per quale nazione essere eleggibile sportivamente». In assenza di modifiche alla Legge, Nnachi potrà quindi vestirsi d'azzurro solo dopo aver compiuto la maggiore età.

Oltre all'astista, al momento il settore giovanile della Fidal sta monitorando anche i casi di tre altri giovani, che sarebbero potuti diventare italiani perché hanno più di dieci anni di residenza nel nostro Paese. La prima è l'ostacolista Malina Berinde, rumena di nascita, ma da noi da più di un decennio, che aveva stabilito il minimo per partecipare ai Campionati europei Under 23 di Tallinn nei 400 ostacoli, «ma purtroppo - spiega Andreozzi - non abbiamo potuto convocarla, perché la richiesta di cittadinanza da lei presentata non è stata ancora vagliata dalle autorità competenti». Anche gli altri due casi finiti sotto la lente della Fidal riguardano rumeni di nascita, ma ormai italiani di residenza: «Si tratta di Catalin Tecuceanu e Victor Curcuianu, entrambi ancora in attesa di risposta alla loro richiesta di cittadinanza». È andata a buon fine invece la pratica dell'astista Rebecca Mihalescul, che in Estonia ha potuto indossare la casacca azzurra. Ma è un caso isolato, che è riuscito a sconfiggere la burocrazia.

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Ultimo aggiornamento: 09:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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