Luca, golden boy del pugilato italiano

Venerdì 13 Dicembre 2019
Luca, golden boy del pugilato italiano
Pugni chiusi sul ring per battere gli avversari. Mani tese fuori per sostenere le attività di volontariato. Sono i binari lungo i quali corre frenetica la vita di Luca Rigoldi, 26 anni, orgoglio vicentino e Golden Boy del pugilato italiano. Ragazzo d'oro per i risultati. In un panorama professionistico privo di campioni del mondo (sono lontani i tempi di Carnera, Benvenuti, Oliva, ma anche di Sanavia), Rigoldi è l'unico campione d'Europa nei pesi supergallo (kg 55,338) insieme al medio Matteo Signani. Ragazzo d'oro per i comportamenti. Educati, generosi, responsabili, da imprenditore di se stesso in uno sport ormai minore in Italia. A fronte di impegno e sacrifici, non consente più di vivere di boxe.
Neanche lei, miglior pugile italiano per titoli, ci riesce?
«No, il 70-80% del mio reddito deriva dall'attività di istruttore di gym boxe (quella degli amatori, ndr) in due palestre. Il resto viene da ospitate in locali o attività commerciali, sono reduce da una crociera con la Msc, sponsor e borse dei match».
Borse che ammontano?
«A circa 30.000 euro l'anno, se combatto 2-3 volte, con match internazionali, ma senza nessuna garanzia di continuità».
Un miraggio le cifre di Mayweather, Alvarez, Joshua.
«In Italia nessuno investe su un pugile dicendo: ecco 500.000 euro per 10 match in 3-4 anni per arrivare a un titolo e avere un ritorno. Non puoi programmare. Non sai nulla del futuro. Neanche da campione d'Europa».
Perciò è diventato imprenditore di se stesso, seguendo il tipico modello del Nordest?
«Certo. Oltre alla 5-6 ore di preparazione agonistica lavoro sul territorio, mi promuovo sui social, non mi fermo mai».
La sua giornata tipo?
«La mattina footing. In pausa pranzo insegno, sono istruttore di 1° livello, a Thiene, dove vivo e ho fondando la palestra Dynami, o alla Queensberry a Vicenza, dove sono cresciuto. Poi vado a Piove di Sacco ad allenarmi, 162 km andata e ritorno. Dalle 19 alle 21 ancora in palestra con gli amatori».
Macina chilometri come i round sul ring?
«Ho preso la nuova auto il 4 marzo 2018, una Ecopsport Ford. Ha già 67.569 km, 40.000 l'anno. In futuro spero di trovare uno sponsor che me la finanzi».
L'altro volto del suo attivismo è il volontariato.
«Vengo da un famiglia cattolica, mia madre Raffaella quando combatto è a casa con il rosario, dove ne abbiamo sempre fatto tanto. Mio fratello Marco, sacerdote laico, è partito per il Congo. Io ero animatore in parrocchia».
Va ovunque la chiamano?
«Se posso sì. Scuole, associazioni, istituzioni. Con i Carabinieri ho sostenuto un'iniziativa contro il bullismo, con Team For Children per un ospedale pediatrico. Faccio attività con un gruppo di ragazzi autistici».
Sempre gratuitamente?
«Sì, perché ci credo. Da loro non voglio soldi, a differenza di chi deve promuovere un'attività commerciale. Ma capitano situazioni curiose».
Tipo?
«Una scuola è stata costretta per motivi interni a darmi un rimborso. L'ho fatto girare alla Città della Speranza. Così anche gli altri testimonial dell'iniziativa si sono sentiti in dovere di farlo. Forse mi hanno maledetto...».
Di cosa parla ai ragazzi?
«Racconto, con le mie parole e video emozionali, che nella vita come nella boxe bisogna impegnarsi, avere costanza e passione. Spiego come si costruisce un vittoria e come si riparte da una sconfitta. Soprattutto dico di non rinunciare mai ai sogni della loro età».
Come ha fatto lei?
«Io dopo il diploma da geometra ero già tirocinante in uno studio. Sono arrivato terzo agli Assoluti dilettanti e mi sono trovato a un bivio: o cambio vita, o faccio boxe a tempo pieno mi sono detto. Sostenuto dalla mia famiglia ho scelto il pugilato e mollato il lavoro, perché non volevo passare il resto della vita col rimpianto di non averci provato. Mi sono adattato anche a pulire i cessi del palasport di Vicenza per prendere qualche soldo e ora sono campione d'Europa. So di non essere Mayweather, ma qualche soddisfazione me la sono tolta, e spero tante altre».
Il personale podio dei match della sua carriera?
«Al 1° posto la conquista dell'europeo contro Jeremy Parodi, nella sua tana a Hyerez, in Francia, il 17 novembre 2018. L'apoteosi, un'impresa riuscita a pochi. Al 2° la rivincita con Vittorio Parrinello. Mi ha inflitto l'unica sconfitta per il titolo italiano, mi sono rifatto con quello dell'Unione Europea. È stata la misura della mia crescita. Al 3° la vittoria del Tricolore contro Iuliano Gallo nel 2016. È stato giudicato il match dell'anno».
L'ultima difesa europea con l'ucraino Oleksandr Yegorov, il 20 settembre a Schio?
«La prova della maturazione tecnica. L'ho dominato dalla prima ripresa con il ritmo, mentre le migliaia di spettatori del palasport urlavano Orgoglio vicentino. I tifosi della Curva Sud mi hanno chiesto d'indossare i pantaloncini con i colori del Vicenza calcio. Emozionante».
Il futuro?
«Il match di collaudo sabato a Polverara sui 6 round, con un rivale che mi aveva già impegnato a luglio. Poi la terza difesa dell'europeo contro Galal Yafai, un pugile anglo-yemenita patrocinato da Eddie Hern, procuratore inglese tra i più importanti al mondo grazie all'accordo con Dazn, e non solo. È un match rischioso, ma il gioco vale la candela. Se va bene con un personaggio del genere ci giochiamo la chance di entrare nel giro della boxe che conta».
Ivan Malfatto
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Ultimo aggiornamento: 15 Dicembre, 13:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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