Politicamente scorretto sempre. Politico mai. A undici anni dal suo Resto Umile World Tour, Checco Zalone torna a teatro per dire tutto quello che non si dovrebbe dire: gioca a fare il maschilista, scherza con l'omofobia, si dà del sessista ma solo per il gusto «di ricordare i vecchi tempi, quelli in cui c'era libertà. Ora c'è questa cosa, la cancel culture, non si può dire più niente». E così, senza mai fare il nome di politici (solo un riferimento, con la musica de Il tempo delle mele, al «tempo di Meloni»), Zalone abbatte a colpi di sketch l'ipocrisia borghese, il culto del denaro, i radical chic e dice la sua pure sulla guerra, su Zelenski e su Putin - afflitto, fin da bambino, da un problema di virilità da risolvere con una «operazione speciale» in Ucraina.
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Checco Zalone, a Firenze è sold out la prima data
Sold out alla prima data, al PalaWanny di Firenze, il comico ieri è apparso davanti a 3500 persone (nel pubblico Carlo Conti, Paola Perego e il presidente della regione Toscana Eugenio Giani) nei panni Putin, «fan dell'Italia», che ascolta i Ricchi e Poveri e ringrazia per avergli dedicato «una città della Puglia, Putignano».
L'omaggio
Un colpo al cerchio e uno alla botte, si concede un momento di riflessione («Non dobbiamo accogliere per pietà, ma per migliorare») e poi affonda: «Vuoi fare il poligamo in Italia? Eh no, caro immigrato: semmai prendi una moglie sola ma grossa». Applausi sull'omaggio a Enzo Jannacci e alla sua Vincenzina e la fabbrica, diventata la storia di un'influencer «senza busta paga », poi Celentano e Mina nel brano Arteriosclerosi (bravissime le due donne sul palco, la cantante Alice Grasso e la sassofonista Felicity), trionfo sul Vasco Rossi salutista che si fa di Jinco Biloba con la badante Toffee («Ti ricordi quante belle canzoni scrivevi quando ti drogavi?») e confronta le analisi del sangue con quelle di Ligabue «trovate nel dark web». La guerra in Ucraina torna nella storia di Gilda, signora bene che va «col carrello» ad adottare una famiglia ucraina: finite le ucraine, non prende le siriane «perché non stanno bene col parquet scuro».
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L'amarcord
Ma è sul finale che Zalone si leva più di un macigno dalla scarpa, riproponendo per intero il pezzo incriminato di Sanremo, quello della trans Cenerentola con «la fata di Cosenza». Per quello sketch lo avevano accusato di transfobia: il pubblico di Firenze ride, e il consenso da il via all'amarcord di brani scorrettissimi, incluso quello «per cui Tiziano Ferro si incazzò. E allora adesso facciamo le canzoni di tutti quelli che si sono incazzati - dice Zalone - Una volta ne feci una su una ragazza di colore senza culo, che veniva presa in giro per questo: black face, body shaming e cat calling in una sola canzone, sono fiero di me». Almeno quattro i bis, con i cavalli di battaglia Uominisessuali, Samba senza culu, Angela: nessun fuori programma, Zalone gioca sul sicuro. E ancora una volta, lo fa meglio di tutti.
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