Vasco Rossi al Messaggero: «Sogno sempre Steve McQueen»

Mercoledì 22 Giugno 2016 di Marco Molendini
Vasco Rossi al Messaggero: «Sogno sempre Steve McQueen»

Come un papa, un papa del rock: Vasco si affaccia dal balcone e saluta i fans che bloccano via del Tritone, lanciando autografi. La sua estate romana comincia così, da una visita al Messaggero, sotto il sole finalmente caldo di giugno. «Roma per noi che veniamo dalla provincia... è un'idea come un'altra» intona, citando Paolo Conte e la sua Genova per noi. «Sarà una città caotica, ma è talmente bella» commenta, poi aggiunge un altro accenno musicale, Vasco, Roma nun fa la stupida stasera, pensando al debutto all'Olimpico fra poche ore con il suo concerto heavy oriented perché, dice, «questa è una scelta naturale per chi fa rock da una vita. Il rock è un linguaggio molte potente, in grado di comunicare sensazioni forti». E' qui, sostiene, il segreto del suo infinito successo extralarge che gli permette di accumulare, da ventisei anni, stadi su stadi. Questa è la sua capacità di dare peso e forza alle parole: «Sono la cosa più importante. La musica è solo la colonna sonora. Quando sono sul palco ritorno allo spirito con cui ho scritto le mie canzoni e le parole mi rivengono in mente automaticamente e spontaneamente. Come se le rivivessi».

Ma il successo non sempre arriva subito. E non è stato così neppure per lui. «A 11 anni già pensavo di essere un cantante famoso - racconta -. Avevo vinto uno di quei concorsi di paese per bambini a cui ti portano le mamme mettendoti il vestitino della festa. Cantavo Violino tzigano. E' cominciata così la mia carriera. Anzi, un po' prima, quando la domenica sempre mia madre mi metteva sul tavolo da pranzo e mi faceva cantare le canzoni di Sanremo che avevo imparato a memoria. Il tavolo da pranzo è stato il mio primo palcoscenico». Poi, quando aveva 17 anni, ha cominciato a scrivere le prime canzoni. «Pensavo che sarebbe stato quello il mio futuro. Sono state due persone a spingermi sul palco e a iniziare questa avventura: Bibi Ballandi, il mio primo impresario, e Gaetano Curreri. E' stato Bibi a portarmi per la prima volta in televisione, ospite dell'Altra domenica di Renzo Arbore che dava spazio a nuovi artisti».

Poi ha dovuto camminare parecchio per diventare il Vasco Rossi di oggi, dominatore assoluto del rock all'italiana: «Il mio collega Bruce Springsteen per fare quattro volte uno stadio lo deve fare vicino a casa sua. E per noi italiani, fino agli anni 80, c'era spazio solo nelle balere. Poi, quando si facevano i primi stadi, al massimo si andava in curva» ricorda.

Oggi è una superstar senza paragoni. «La celebrità ha aspetti complicati - ammette -. Quando esco tutti mi conoscono, però una volta uscivo e mi insultavano. Certo, tutti mi guardano, mi fissano e la prima sensazione istintiva è chiedersi, ho qualcosa che non va? Sono un timido, così esco solo quando sono convinto, sennò sto a casa». Ma a casa, in fondo, ci resta poco: «Devo avere sempre qualcosa da fare, se non ho un progetto vado in crisi». E per il futuro il progetto c'è già, l'anno prossimo Vasco festeggerà i 40 anni dal primo disco con un concerto a Modena: «Vedremo dove sarò il prossimo anno. Per ora siamo solo a 39 anni» scherza. Ma i tempi del fatalismo, della vita alla Steve McQueen sono ormai passati: «Stavo morendo per un problema che non si riusciva a risolvere. Colpa di un batterio. Sono guarito e il medico mi ha imposto regole precise: o muori o continui». Vasco ha continuato e La vita spericolata è finita: «Ma anche allora era un sogno, quello di vivere alla Steve McQueen. Come oggi. La mia storia vera assomiglia piuttosto alla favola di Cenerentola. Non avrei mai pensato di arrivare a questo punto. E' stata straordinaria. E mi piacerebbe raccontarla».

Intanto stasera all'Olimpico canterà il suo concerto in 33 canzoni: «Sono tante, lo so, ma c'è sempre difficoltà a scegliere quali pezzi lasciare fuori. Ma così funziona bene. Per me è sempre così, il problema prima è partire, poi diventa difficile fermarsi».

Ultimo aggiornamento: 25 Giugno, 18:58