Ghali: «Votano Salvini, ma portano i figli ai miei concerti: è un cortocircuito»

Mercoledì 14 Novembre 2018 di Simona Orlando
Ghali: «Votano Salvini, ma portano i figli ai miei concerti: è un cortocircuito»

Bisogna alzare gli occhi come verso la Madonnina del Duomo per incontrare lo sguardo di Ghali, altissimo, giocatore di basket mancato, e ancora più su finisce la sua pagoda di dreadlock. Ieri al Palalottomatica di Roma, davanti a oltre 7 mila persone, ha chiuso il tour che lo ha portato dai palazzi del quartiere Baggio, periferia di Milano, dove è nato 25 anni fa da genitori tunisini, ai palazzetti italiani, dopo il grande successo di Album. Viene dal niente e si prende tutto. Si è espanso oltre la trap e ha ideato il concerto come una fantasia urbana per «evocare nostalgia ai più grandi e stupire i più piccini» che cantano anche frasi in arabo e francese. Ha voluto dj, coriste e band, umanizzando pezzi nati al computer, e i due ospiti a sorpresa Capo Plaza e Sick Luke.
Un muro di schermi mandano immagini e al centro c'è lui, avvolto da luci e suggestioni. Accanto l'amico immaginario Jimmy, con il quale ripercorre la strada fatta per trovare un posto nel mondo, in una specie di romanzo di formazione in musica, un crescendo che passa per Pizza Kebab, Willy Willy, Mamma, Ricchi dentro, Happy Days, Habibi fino al bis su Ninna nanna e Cara Italia. Rap, reggae, pop, Africa, Italia, barconi di migranti e crociere di lusso, il nuovo mondo multiculturale e le sue contraddizioni narrate da un ragazzino cresciuto prima del dovuto che «vede diamanti nel fango» e ha aspettato che «il sole riuscisse a scucire le nuvole». Modi dolci e il vizio del ritardo, lo incontriamo nel camerino ribattezzato Ghallipoly Island.

Un anno e mezzo fenomenale per te. C'è una storia che ti ha fatto capire l'impatto che hai avuto sul pubblico?
«Sì, ci ha scritto una mamma di Napoli con un figlio affetto da autismo che da quando è nato non ha mai parlato. Lo ha fatto ora, a 7 anni, e la sua prima parola è stata Ghali. Lei era felicissima, per me è stato bellissimo e anche una botta. Mi ha fatto capire il potere incredibile della musica».

Troppa responsabilità?
«È inevitabile. La mia musica però deve restare spontanea, ne va della mia libertà artistica. Non sono un paladino della giustizia. Se voglio parlare di canne, lo faccio, anche perché su YouTube ci sono ben altre volgarità».

Nessuna controindicazione al successo? Stromae, uno dei suoi miti, non ha retto alla pressione.
«Il mio successo non è paragonabile al suo ma lo capisco. Difficile da sostenere tutto questo, fai il mestiere che vuoi ma non puoi fare cose normali come camminare in strada. Devi trovare l'equilibrio e ci sono dei trucchi».

Tipo?
«Costruirti la tua capannina, un ambiente protetto con persone che porti sempre con te».

Come fai a fidarti di chi si avvicina?
«Faccio fatica. A volte capisco se è lì per me persona o per me personaggio, altre no, altre ancora faccio il finto tonto».

In Lacrime parli al tuo futuro figlio. Desiderio di diventare padre?
«Ho un forte istinto paterno. Appena trovo quella giusta».

La prima cosa che hai comprato con i soldi guadagnati?
«Una villa alla mamma».

Lontano dalla strada e dalla gente comune non temi di perdere ispirazione e credibilità?
«Basta essere sinceri con sè stessi. Viaggio da un palazzetto all'altro, dall'hotel alla macchina, è ovvio che non sono più in strada e non aspetto più l'autobus, Difficile rimanere rapper per sempre. Capisci che è stato un trampolino. Fa parte di una subcultura. Se non la vivi, non la puoi raccontare. Non saresti sincero. E lì devi fare un passo in più. Devi imparare ad affrontare l'arte».

Hai detto: «Ho risposto in modo intelligente alle discriminazioni». Quali?
«I commenti in metro, per strada, a scuola. Ma mi è pesato meno che ad altri. Sono sempre stato misericordioso verso chi è ignorante di vita, cioè non ha incontrato diversità, non ha fatto scalo negli aeroporti. Poi sofferenza e frustrazione ci sono state ma le ho canalizzate nella musica. Raro che scriva in un momento di felicità».

Uno dei tuoi rapper preferiti, Salmo, ha detto: Se vi piace Salvini, non ascoltatemi.  D'accordo?
«Salmo è un grande ma invece il bello è che chi vota Salvini viene a vedere i nostri concerti per accompagnare i figli. Il vero corto circuito».

Hai seguito la questione Riace?
«Sì e voglio rendermi utile, da domani in poi. Ma nel modo giusto, incontrando le persone di lì e un mondo in cui non sono mai entrato».

Sono appena usciti tre dischi postumi di rapper morti giovanissimi: Lil Peep, Cranio Randagio, XXX Tentacion. Che effetto ti fa?
«Non è il rap, è il successo che ti porta fuori dalla realtà nel caso di XXX e Lil. Per quanto saggio e profondo, non ce la fai. Certi sogni è quasi meglio averli che realizzarli. Se li realizzi, è bene averne subito altri pronti, sennò non ti salvi».

Il tuo prossimo sogno?
«Il disco nel 2019, un altro tour, un film di cui sono sceneggiatore e regista. Nel disco baderò solo all'istinto, non ho più bisogno di dimostrare niente a nessuno. Ho un disegno nella testa di ciò che succederà. In Italia sono io quello che farà la nuova Imagine. Un brano che unirà tutti. E poi un pezzo esploderà nel mondo arabo e uno nell'America Latina. Voglio suonare in Tunisia e al Coachella Festival».

Stavolta vorrai ospiti?
«Tanti, registrerò sia qui che all'estero. È confermato il producer Charlie Charles, il mio architetto di successi, e vorrei provare a entrare in studio con la band».

Hai una foto con Caparezza e Jovanotti. Nessun contatto?
«Mi piacerebbe collaborare. Con loro e Manu Chao».

Un'ospitata a Sanremo?
«Non ho mai visto una puntata e non mi andrebbe di ricantare Cara Italia».

L'Italia che hai visto su e giù in tour è migliore di quella che raccontano i nostri politici?
«La gente che incontro mi dà enorme speranza per questo Paese. A me sembra proprio una bella Italia».
 
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