Addio a Philip Roth, Sandro Veronesi: «Le sue opere come un unico libro»

Mercoledì 23 Maggio 2018 di Renato Minore
Addio a Philip Roth, Sandro Veronesi: «Le sue opere come un unico libro»
Ora che non c’è più il loro autore, i suoi libri rappresentano anche «un unico libro, dal primo all’ultimo». In esso ci sono momenti in cui si affronta la storia americana, ma sempre, anche quando ci si concentra sulla vita privata, c’è tutto il resto. Per Sandro Veronesi, Philip Roth è «uno scrittore che continua a scrivere perché continua a essere letto. È una cosa abbastanza rara che quella sua qualità si sia affermata in questo modo, una qualità che diventa sempre lettura».

Dunque tanti romanzi sul filo di un solo discorso?
«Una condizione molto novecentesca. La novità di un’opera unica in equilibrio tra funzione privata e funzione pubblica di testimone, cavia, osservatore della commedia umana e politica. Che cosa poteva trovare di meglio Roth che se stesso, nato nei suburbi della grande città di famiglia ebrea, con una assai tormentata biografia dove figura anche la falsificazione dei test di gravidanza?».

Tra i suoi libri, Roth diceva di preferire “Pastorale americana” e “Il teatro di Sabbath”. E lei?
«Aggiungerei “Lamento di Portnoy”. E’ stato un punto di svolta. Nella letteratura, nella vita, nella carriera, nella famiglia. Pur essendo lui una delle cause di ciò che stava accadendo, non era solo un testimone ma anche un protagonista di ciò che deformava mentre raccontava. E le conseguenze erano su chi gli viveva accanto. Il campione di una situazione simile è stato Capote che, per fortuna, non aveva famiglia…».

Roth sembra sempre esprimere il disagio dell’individuo alle prese con la ridefinizione della propria identità. E anche la lotta impari tra l’uomo e il destino.
«La cultura narrativa moderna parte da Auden che, che quando è arrivato in America, ha inventato l’età dell’ansia ’. Come testimone della tragedia europea del Novecento, ha messo al mondo scrittori ansiosi nevrastenici, estremamente precisi nel raccogliere, dalla strada come dalla propria casa, tesori che la contemporaneità aspettava solo di vedere rappresentati. Roth è stato uno di questi grandi scrittori ansiosi».

Con i suoi libri cerca di capire cosa voglia dire essere americani che, nel suo caso, coincide con l’essere ebrei?
«Non era un buontempone come Cormac McCarthy che sparava col fucile, se ti avvicinavi alla sua proprietà. La sua proprietà era violata in mezzo a migliaia di persone che si pestavano i piedi gli con altri. Era una creatura metropolitana. E così la storia avanza, non certo nella provincia, alla frontiera, dove ti sparano addosso. In città la civiltà deve produrre qualcosa di più del latte e delle vacche. La storia è andata avanti dove c’era lui che era un savoiardo immerso nel mascarpone».

I suoi personaggi sono spesso persi nel sogno, onell’incubo, americano?
«È molto vicino alla piccola borghesia, quella delle carte da parata, dei tinelli, dei sogni che svaniscono con le cartelle esattoriali. Le tasse sono state protagoniste della sua storia, se non le pagavi era finito il sogno, non c’era spazio tra la porta e il muro».

Come giudica gli ultimi romanzi sulla decadenza dell’eros, la vanità dei ricordi, la fine che divora tutto?
«C’una vitalità involontaria, anche a sua insaputa. Quasi una sperimentazione sui corpi in decadenza, non solo il suo. Un corpo che non funziona tanto bene è sempre meglio di una testa che non ha più voglia di funzionare. È una componente animalesca, non bestiale, propria da mammifero. Fisica, biologica e la biologia, prima che smettesse di scrivere, ha molto spazio nei suoi libri».

A un ventenne quale libro consiglierebbe anche per fargli comprendere perché la letteratura è uno strumento di conoscenza?
«Ancora “La Pastorale”. La parabola molto americana dello svedese che non è americano. Accanto al narratore, c’è lui, Roth, vicino ma non del tutto preso dalla vicenda. C’è la profondità del racconto di grandi libri come “Cuore di tenebra”. E’ protagonista la vita, tutto quello che ci si aspetta di sentirci raccontare da un americano della seconda metà del Novecento».
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