Sordi, Stefania Sandrelli: «Il mio amico Alberto, il più generoso di tutti»

Domenica 14 Giugno 2020 di Andrea Scarpa
Sordi, Stefania Sandrelli: «Il mio amico Alberto, il più generoso di tutti»

«Albertone? Se penso a lui mi viene subito da ridere. Fin dal nostro primo incontro ci siamo sempre divertiti come pazzi». Stefania Sandrelli, 73 anni, con il grande attore romano - che domani sarà ricordato in Campidoglio a cent'anni dalla nascita, il 15 giugno 1920 - ha girato un solo film, Quelle strane occasioni, nel 1976, recitando nell'episodio diretto da Luigi Comencini, L'ascensore, quello in cui lei si ritrova rinchiusa alla vigilia di Ferragosto con Sordi nei panni di un arzillo monsignore. Un'unica esperienza professionale, di grande successo, per un'amicizia durata quasi quarant'anni.
Perché un solo film insieme?
«Lavoravamo così tanto... Era difficile trovare gli incastri giusti».
Quando l'ha conosciuto?
«A metà degli Anni Sessanta. Alberto mi invitò a casa sua per un caffè e per propormi un film che alla fine non feci perché non riuscii a liberarmi da altri impegni contrattuali».
Qual era?
«Il titolo non me lo ricordo, ma il mio ruolo lo fece Nicoletta Machiavelli (era I nostri mariti del 1966, ndr). Però ricordo le risate per via dei miei occhi».
Cioè?
«Avevo vent'anni e avevo deciso di non essere più una quattrocchi: volevo usare le lenti a contatto al posto degli occhiali. All'epoca, però, c'erano solo quelle rigide, io le avevo messe da pochi giorni, e una mi cadde appena entrai nel salone di Alberto. Ci mettemmo a cercarla insieme, senza trovarla. A Stefa', questo vuol dire che da adesso in poi ci vedrai con un occhio solo, disse divertito. Da allora con lui è sempre stato così: battute e risate pazze».
Come andò sul set di Quelle strane occasioni?
«Benissimo, anche troppo. Al trucco, in camerino, a pranzo: non riuscivo a trattenere la riderella. Avevo quasi 30 anni e tanti film alle spalle, ma dopo un po' cominciai a preoccuparmi. Sul set non riusciva a rimanere serio neanche Comencini, che però dopo un po' cominciò a dare segnali di impazienza. Temeva di dover allungare i tempi di lavorazione».
È vero che la scena del libero arbitrio fu particolarmente difficile?
«Sì. Dopo aver fatto approfittato sessualmente di lei il prete dice alla ragazza che quello che è successo è accaduto solo perché, bloccati in un ascensore, entrambi si erano ritrovati a non avere più la piena facoltà di scegliere se fare o meno qualcosa. Quindi niente c'era stato fra di loro perché nessuno l'aveva veramente voluto. Una faccia di bronzo... Rifeci la scena non so quante volte».
E poi?
«E poi andò tutto bene. Alla fine Alberto ci portò a cena da Spartaco d'Itri, l'ex-pugile appassionato di canzoni che aveva aperto il ristorante Apuleius dopo aver vinto al Musichiere di Mario Riva. Sordi appena poteva organizzava sempre lì delle cene con gli amici. E pagava sempre lui per tutti».
E le voci sulla sua avarizia?
«Si fa presto a dire che un attore è tirchio. Sul set non ha tasche, borse, soldi... Solo un equivoco. Si potrebbe dire anche di me, che di sicuro non lo sono».
Com'erano le serate da lui?
«Splendide. A fine cena si andava da Alberto, dove c'era mezzo mondo: da Giuseppe Ungaretti a Jorge Ben, da Vinicius De Moraes a Federico Fellini. C'erano giganti di ogni campo, ma alla fine il mattatore era sempre lui. Frequentandolo ho capito perché è stato un grande attore: era un uomo irresistibile, brillante e coinvolgente. Umanissimo e curioso di tutto e tutti».
Eppure si è sempre detto che fuori dal set fosse diverso.
«Di noi attori si dice spesso che abbiamo una vena triste, nel suo caso - per quello che ho visto io - non direi proprio. Per lui far ridere era un gesto di affetto. Lo faceva con il pubblico e con gli amici. Era generosissimo, altroché. E a me voleva bene, per questo mi ha dato il privilegio di stargli accanto».
La sua arma in più qual era?
«La capacità geniale di tradurre situazioni, incontri e stati d'animo in battute straordinarie. Era una specie di mago».
Un conquistatore come lui perché non si è mai legato a una donna?
«Non ne ho idea, forse non ha trovato quella giusta».
Scusi, è lei?
«Mi trattava come una nipote. Non ho mai pensato nemmeno per un attimo che ci provasse».
I suoi film preferiti?
«Come si fa a scegliere? Un americano a Roma, La grande guerra, Un borghese piccolo piccolo, quando si trasformò in cattivo... Era coraggioso, Alberto».
C'è qualcosa in più che avrebbe voluto sapere di lui?
«No. Il nostro era un rapporto meraviglioso all'insegna del gioco. È iniziato così e così è stato fino alla sua morte. Per me era come un parente. Il suo funerale è stata un'esperienza: capire quanto amore avesse dato e quanto ne ha ricevuto è stato incredibile».
Che cosa resta di Sordi oggi?
«Il suo cinema, la forza della verità in tutte le cose che faceva, i suoi sentimenti. Per me era un genio, non trovo altre parole».
Il suo erede?
«Nessuno. Se devo fare un nome, però, faccio quello di Max Tortora: qualche corda di Albertone ce l'ha. È bravissimo».
 

Ultimo aggiornamento: 11:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA