Sophia Loren torna al cinema, dopo undici anni da Nine di Rob Marshall, con La vita davanti a sé, diretta dal figlio Edoardo Ponti.
Ambientato a Bari il film è l’adattamento del romanzo dello scrittore lituano naturalizzato francese Romain Gary, e racconta la storia di Madame Rosa, un’anziana ebrea deportata nei campi di concentramento, e ex prostituta, che per sbarcare il lunario ospita nel suo piccolo appartamento un asilo per bambini in difficoltà. Con uno di loro, Momò, un dodicenne di origini senegalesi, instaura un rapporto particolare, inizialmente turbolento. Diversi in tutto, dall’etnia alla religione, dallo scontro iniziale il loro legame si trasformerà in una profonda amicizia.
La vita davanti a sé arriverà su Netflix dal 13 novembre, e compatibilmente con la riapertura dei cinema, anche in sala. Prodotto da Palomar, per il fondatore della casa di produzione, Carlo Degli Esposti, il progetto era vincente in partenza: «Edoardo ci ha coinvolto nella produzione di questo film dalle grandi emozioni. Personalmente non sono mai andato sul set perché Sophia per me è una tale icona, di quello che io considero il vero cinema, che avevo paura di influire negativamente sulla tranquillità del set. Spero che questa pandemia passi velocemente perché vorrei inginocchiarmi davanti a lei e dirle grazie per tutto quello che ha fatto in questi anni».
Una pandemia che ha colpito molto anche la Loren: «Io non esco, ho paura di tutto. Faccio attenzione a fare cose vietate, seguo sempre le regole. Ma la connessione fra le persone è importante. Il cinema e il teatro sono dei rifugi dove ci possiamo ritrovare, per capirci meglio. La salute è importante, ma conta anche quella emotiva. Dispiace che siano chiusi cinema e teatri, ma che cosa si può fare in un momento del genere?».
Nel film c’è un omaggio del figlio nei confronti della madre: «Per me la scena in terrazza di Madame Rosa è un omaggio a Una giornata particolare, che è il mio film preferito di mia madre. Solo che non gliel’ho mai detto. Forse tra trent’anni riuscirò a trovare le parole per esprimere il legame e la fiducia che abbiamo. La forza che ci diamo a vicenda ogni giorno, anche per raccontare una storia così». L’emozione è tangibile fra i due, e si riflette anche nel film, come racconta la Loren: «Ho vissuto la guerra che ero una bambina, avrò avuto tre o quattro anni. Certe cose però si comprendono bene solo in età adulta. Quando accadono quelle cose ti rimangono dentro. Per me fare il cinema, e interpretare personaggi che raccontano quella guerra è stato sempre importante, perché ha influito in maniera positiva sulla mia recitazione. Sono cose che non si dimenticheranno mai più».
Per la Loren una vita vissuta senza rimorsi, fatta forse di un solo rimpianto cinematografico: «Quello di non aver interpretato la Monaca di Monza. Luchino Visconti mi propose il ruolo, poi non ricordo perché non lo abbiamo più fatto. Amavo moltissimo il personaggio, avrei voluto farlo, forse è questo il mio unico rimpianto».
C’è chi dice che per la sua interpretazione ne La vita davanti a sé ci sia già profumo di Oscar: «Il mio Oscar è stato lavorare a questo film. Speriamo bene, non ci voglio neanche pensare. Ho già il cuore che batte a mille. Vedremo che succederà!».