Penelope Cruz parla italiano, «l'Italia è la mia seconda casa, amo questo paese dove sono sempre stata accolta, è un legame anche cinematografico e quando arriva un progetto, bello come quello del film di Emanuele Crialese, L'Immensità, per cui sono qui, sono felice».
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Nel film, dichiaratamente autobiografico per il regista, Cruz è di nuovo madre, »anzi tante madri nella complessità di questo ruolo. Ho un lato materno fortissimo, sin da quando ero piccola. Ho fatto sette film con Pedro Almodovar e in cinque sono madre, la maternità mi appartiene, è un mondo infinito sempre da scoprire, così come la famiglia«. Per convincerla a fare L'Immensità, Crialese ci ha messo appena un'ora: »Me ne sono innamorata subito e quando, dopo il Covid, il progetto è ripartito ho trovato la stessa passione e la stessa voglia di fare questo film. Non ho mai smesso di parlare con lui, di confrontarmi, lo abbiamo costruito ogni giorno, c'è il suo vissuto ma anche il mio, c'è sua madre ma anche altre madri. Erano tempi diversi, non si poteva, negli anni '60 - '70, cambiare facilmente un destino, ma anche oggi conosco tantissime, troppe donne, infelici dentro al matrimonio, intrappolate nelle cose, costrette a fingere davanti ai figli, situazioni che sfociano anche in violenza domestica, uno dei tanti temi che pure il film affronta«. La moglie infelice dell'Immensità, »non è una pazza, ha la follia che basta per sopravvivere in un matrimonio finito, la sua unica fuga è il sogno attraverso lo schermo tv, che la ricollega all'arte. Non è pazza ma oppressa e finisce per cadere in depressione«. Un legame con i figli, in questa casa anni '70 che rappresenta la loro 'prigionè, è Raffaella Carrà: mamma Penelope si scatena a ballare Rumore, coinvolgendo i tre ragazzini. »Io sono pazza di Raffaella da sempre, cantavo le sue canzoni a squarciagola per tutta la mia famiglia, è stata una donna molto importante per me«.