Mattia Torre, il ricordo di Paolo Calabresi: «Quelle vacanze in Val Gardena e il libro mai scritto»

Domenica 19 Luglio 2020 di Ilaria Ravarino
Mattia Torre, il ricordo di Paolo Calabresi: «Quelle vacanze in Val Gardena e il libro mai scritto»
Amico, collega, attore, ma anche temibile avversario a Risiko. Presente in tanti dei lavori che Mattia Torre ha scritto per il teatro, per la tv e per il cinema - dal cult Boris a La linea verticale, fino a un cameo nel postumo Figli - Paolo Calabresi ricorda la sua amicizia con il geniale autore, scomparso a Roma un anno fa.

Qual è il ricordo più divertente con Mattia?
«Era un continuo, si rideva sempre. Per sette, otto anni di seguito abbiamo fatto le vacanze insieme, andavamo a Siusi in Val Gardena. Prendevamo una casa molto grande: la mia famiglia, la sua e a volte anche i Sermonti, i Mastandrea. Ridevamo di cazzate spaventose, come succede tra amici cari. Immaginavamo di scrivere un libro su questo luogo dove andavamo ogni estate, Mattia aveva deciso di chiamarlo L'albero dei canederli».

E di che parlava?
«Ce lo immaginavamo come uno di quei libri inutili scritti da un’immaginaria nobile annoiata, Marella Tosti Ferdigotti. Un romanzo totalmente privo di snodi drammatici, che parlava di cose inutili, con capitoli del tipo "Facemmo una torta ai mirtilli". Poi facevamo partite a tutti i giochi del mondo, Risiko per esempio. C'erano anche i coniugi Tirabassi. Molto divertente».

Come mai a Siusi?
«Quella casa ha una storia particolare, perché quando Mattia e Francesca aspettavano il secondo figlio, avevano deciso che il parto sarebbe stato fatto a Vipiteno. Il bambino doveva nascere il 10 agosto, e l’ospedale pubblico era meglio delle nostre cliniche private. Sono andati su a maggio per cercare una casa dove stare l'estate, vicina alla nostra casa storica. Ma un sabato mattina Mattia s'è svegliato e si è accorto che perdeva sangue dalle urine. E' andato subito a Bolzano, ha fatto gli esami: un tumore al rene. Che lui ha poi raccontato in modo sublime ne La linea verticale».

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Cosa le manca di più oggi di lui? 
«Lui manca in tutto quello che rappresentava, in particolare in questa visione della vita così gioiosa ma anche cinica, a volte crudele. Non risparmiava neanche se stesso: mi manca la semplicità con cui raccontava la sua situazione, la sua malattia».

Come lo ricorda?
«Come una persona molto educata, rispettosa. Aveva un grande rispetto della vita, come succede spesso alle persone che se ne vanno presto. Questa cosa che si dice, "se ne vanno sempre i migliori": secondo me è vera. Perché i migliori qualcosa la sentono, senza neanche accorgersene».

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Cosa consiglierebbe di leggere di Torre?
«C’è lo spettacolo, "4-5-6", un capolavoro assoluto di linguaggio, di culture mischiate. C'è Dario Fo dentro, c'è tutto. C'è il dolore, l'ignoranza. Ci sono anche delle pillole straordinarie girate da lui, in cui ho fatto un piccolo cameo, trasmesse al tempo da Dandini su La7. Se però si vuole leggere qualcosa, c'è un monologo straordinario che si chiama Gola, che racconta il rapporto degli italiani col cibo. O Qui e ora, un testo strepitoso che io e Valerio Aprea abbiamo portato in scena già tre o quattro anni fa. E che adesso vorremmo riprendere».
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