Torna il regista Hazanavicius
"Vi racconto la guerra in Cecenia"

Domenica 1 Marzo 2015 di Gloria Satta
Bérenice Bejo con il piccolo Abdul Khalim Mamatsuiev in una scena di "The Search"
PARIGI - Sei hai vinto cinque Oscar con un film spiazzante come The Artist (muto, in bianco e nero), tornare in pista non è facile. Michel Hazanavicius ha scelto di cambiare totalmente registro: in The Search (in sala il 5 marzo), il regista francese lascia la scintillante Hollywood anni Venti per immergersi nella tragedia contemporanea «e oggi rimossa» della guerra in Cecenia proprio mentre il mondo segue con il fiato sospeso la crisi tra Russia e Ucraina.

Dolore e morte, violenza, sentimenti forti, commozione: The Search ha per protagonista un’attivista dei diritti umani (Bérenice Bejo, star di The Artist e moglie del regista) che opera sul campo e accoglie in casa sua un piccolo ceceno i cui genitori sono stati fucilati. Siamo nel 1999, ai tempi dell’invasione russa, e grazie all’intervento della donna il bambino tornerà lentamente alla vita, superando l’orrore che lo ha segnato per sempre. Ispirato liberamente al film di Fred Zinnemann Odissea tragica (1948), The Search è stato presentato a Cannes dove ha diviso la critica e rimediato qualche fischio. Hazanavicius spiega di aver tenuto conto delle contestazioni.

In che modo?

«Ho tagliato una ventina di minuti. Non è stato un grande sacrificio, penso che il racconto ci guadagni».

Dal suo film i russi non escono bene: pensa di essere stato fischiato per ragioni politiche?

«Non sono io a dover rispondere. Mica sono un esperto di politica estera, mi interessano gli esseri umani. Ho girato un film destinato al grande pubblico puntando sulle emozioni. Le guerre sono faccende complesse, lo so, ma non va dimenticato che esistono i carnefici e le vittime, il bene e il male».

Perché la protagonista è una donna?

«In materia di diritti umani le donne sono più coraggiose e più presenti degli uomini»

Come ha affrontato la violenza della storia?

«E’ stata la sfida più appassionante: ho scelto di non mostrare direttamente l’orrore ma di evocarlo attraverso i racconti dei protagonisti. Più che la morte, ho mostrato le sue conseguenze nella vita delle persone».

Cosa hanno rappresentato i cinque Oscar?

«Mi hanno aiutato ad ottenere i finanziamenti per questo film e mi hanno dato maggiore credibilità in America. Oggi c’è più gente che mi ama e più gente che mi detesta»

Crede che il pubblico, sconvolto dal terrorismo, voglia sentir parlare di guerra anche al cinema?

«Non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia. Siamo convinti che la pace sia un fatto scontato, ma purtroppo non è così: lo vediamo tutti i giorni. Non ho però girato The Search per dare risposte, ma per risvegliare la coscienza collettiva e porre domande».

Come ha trovato il piccolo protagonista?

«Non volevo un attore professionista, così ho setacciato le scuole e i villaggi della Cecenia finché ho trovato Abdul Khalim Mamatsuiev. Ha nove anni, non ha avuto una vita facile e sono stato attento a non forzarlo. Si è rivelato bravissimo ma per farlo piangere gli promettevo due euro. Alla fine delle riprese si è comprato un videogioco».

Ha girato in Cecenia?

«Non sarebbe stato possibile. Ho scelto la Georgia, il cui paesaggio corrispondeva alla storia che volevo raccontare. Ma la comunità cecena mi ha aiutato in tutti i modi».

Continuerà a fare cinema politico?

«Per il momento non credo. Come ogni essere umano seguo le vicende di questo mondo devastato dalla violenza, ma in primo sono interessato agli esseri umani».

Lei, ebreo francese di origine lituana, ha lavorato con i finanziamenti internazionali: di che nazionalità va considerato The Search?

«Che bisogno c’è di stabilirlo? Il film, come la mia persona, è il risultato di tante identità diverse. Il cinema non sopporta le etichette».

Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 17:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA