Mai una gioia nelle foltissime, rissose, infelici famiglie di Gabriele Muccino. Non fa eccezione l'ultima, protagonista della serie Sky Original A casa tutti bene (a dicembre sulla pay tv e in streaming su Now), presentata in anteprima alla Festa di Roma.
Ma non avrebbe voglia di raccontare una famiglia felice?
«Sarebbe faticoso. Dalla tragedia greca in poi, passando per Shakespeare e Ingmar Bergman, senza dramma non c'è intrattenimento. Se non esistessero i conflitti in casa, vivremmo in una società senza guerre, soprusi, violenza. Ma l'essere umano non impara mai dai propri errori. E io non smetterò di raccontare le famiglie infelici».
Scusi, la sua non è felice?
«Certo, da tanto sto benissimo con mia moglie Angelica e la nostra Penelope che ha ormai 12 anni. Troppi...».
Perché sarebbero troppi?
«Avere in casa una ragazzina cresciuta, con la testa che va più veloce della mia, mi ricorda che sono responsabile del suo futuro. E ho sempre paura che una donna possa essere più fragile, più esposta alla rozzezza del genere maschile con cui non ho nessuna empatia. Invece adoro le femmine, creature sofisticate e creative che noi uomini non arriveremo a capire mai».
Ha appena scritto l'autobiografia (La vita addosso, Utet), si ritiene finalmente pacificato?
«Molto più di quando giravo film in America e mi sentivo sballottato. È stato un periodo di grande confusione».
Non le viene la tentazione di tornarci?
«Non sto facendo nulla per riuscirci, ma se dovesse presentarsi la storia giusta non escludo di farmi un altro giro a Hollywood».
Cosa le ha lasciato la pandemia?
«Un grande senso di paura. Ma anche la soddisfazione di vedere che il cinema si è unito e, grazie ai protocolli sanitari, è tornato a lavorare. A lasciarmi sconfortato è l'ottusità dei no-vax, alimentata dai social».
Che lei continua a usare massicciamente...
«Li uso, li temo e li sfrutto per promuovere il mio lavoro. Ma tra qualche anno considereremo i social uno strumento primordiale, un residuo del Medio Evo. Come la gogna».
Non ha mai lesinato critiche al suo ambiente, si sente un corpo estraneo al cinema italiano?
«Ma io ci sono dentro. E se gli altri non vogliono riconoscere che faccio parte del cinema migliore, è un problema loro, non mio».
Ha dei rimpianti?
«Ho smesso di guardarmi alle spalle. Sono istintivo, impetuoso ma ho imparato ad accettare le mie fragilità. L'uomo che sono oggi è la migliore mia versione possibile».
Una sua gioia recente?
«Aver avuto sul set della serie, come assistente, il mio primogenito Silvio Leonardo, 21 anni. Conosce e ama il cinema più di me. Lavorare con lui, ricevere le visite di Angelica e Penelope mi ha fatto felice».
Perché ha deciso di prolungare il suo film del 2018?
«Proprio mentre lo giravo, continuavo a pensare che non avrei potuto lasciare i miei personaggi. E ho immaginato i nuovi episodi, preoccupandomi di non tradire il mio linguaggio cinematografico per renderlo televisivo nel senso deteriore del termine, cioè convenzionale».
Cosa apprezza in Emma Marrone, che ha voluto nella serie dopo averla fatta debuttare come attrice nel film Gli anni più belli?
«Ho un intutito notevole e, ancora prima di incontrarla, avevo capito che era un'attrice nata. Emma un po' mi somiglia: ha una grande ambizione e una determinazione incrollabile. Anch'io, per arrivare dove sono, ho scalato le montagne. Abbiamo entrambi una grande forza».
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