Le imprese leggendarie e i volti degli eroi tra sacrificio e solidarietà: ecco cosa lega gli Alpini al Friuli

Giovedì 11 Maggio 2023
Gli alpini all'opera durante il terremoto del '76

UDINE - l vecchio maresciallo degli Alpini portava sulle spalle i "binari" rossi dell'aiutante e sul braccio sinistro l'aquila su campo verde della Julia. Era infatti friulano come certi friulani di una volta: una roccia. Ormai a fine carriera, all'inizio degli anni Ottanta, dopo tanta montagna prestava servizio in un ufficio di stato maggiore. Una mattina un caporal maggiore di "naja" trovò il coraggio di chiedergli se fosse vero quanto si diceva: da ragazzo era davvero stato a Nikolajevka? Il vecchio non riuscì a pronunciare una sola parola. Restò muto e scoppiò in lacrime, stringendo forte fra le ruvide mani il suo glorioso cappello.
Alpini e Friuli sono la stessa cosa, lo stesso valore, lo stesso ideale: sacrificio e solidarietà. Perciò un'Adunata nazionale a Udine rappresenta molto di più che un'edizione della grande festa alpina. I ragazzi d'oggi non possono nemmeno immaginare cosa passarono le Penne nere nella Grande guerra sul Pal Piccolo, piccola Patria delle portatrici carniche, dove morire sotto i colpi dei cecchini era il destino di gran lunga più frequente. Ancor oggi dalle ghiaie d'alta quota escono insieme bossoli, spezzoni di granate e ossa senza nome. Quei giovani friulani in uniforme difendevano la loro terra, né più né meno, al pari dei loro coetanei che combattevano dall'altra parte.
Sul fronte delle Giulie, poi, si scrissero altre pagine senza retorica e con tanto sangue: Canin, Montasio, Jof di Miezegnot.

Fra gli altri, qui operava il leggendario Battaglione Gemona e combatteva la sua 97. Compagnia. Era comandata da un bizzarro capitano, Carlo Mazzoli detto il "capellone": il re in persona lo aveva dispensato dal barbiere per nascondere le molte ferite. Era un autentico eroe. Le sue imprese e il suo aspetto gli meritarono l'appellativo di "Garibaldi della Val Dogna" prima di passare al fronte dell'Adamello.

Sulle Giulie nacque il mito del battaglione fantasma, che dopo lo sfondamento di Caporetto nell'autunno 1917 si disse continuasse a vagare fra le creste del Rombon e del Canin alla ricerca di una possibile via di ritorno. Un corteo di fantasmi in marcia perenne, così caro al cuore degli Alpini friulani.

Venne la nuova guerra mondiale e le Penne nere furono spedite, come l'Armata di Napoleone, ad affrontare la Russia. Alla partenza, con armi e abbigliamento del tutto inadeguati, sfilarono in ordine perfetto sotto la Loggia del Lionello in centro a Udine. Tornarono in pochi dopo che nel pieno dell'inverno sul Don, il 26 gennaio 1943, a Nikolajevka erano riusciti a spezzare l'accerchiamento russo e ad aprirsi una via di ritirata. C'erano la Julia, poi chiamata "Divisione miracolo", la Tridentina, la Cuneense, la Vicenza. Fu un massacro, ma anche la salvezza dei sopravvissuti, che meritarono perfino l'onore delle armi dal nemico. Di quella vittoria della disperazione resta una celebre canzone delle Penne nere: i cori la eseguono simulando le bordate del vento, immaginando la morsa del ghiaccio e lo scorrere delle lacrime. La canzone non ha parole, nemmeno una, come il vecchio maresciallo.

Fa impressione, oggi, come tante piccole bare con resti di Alpini restituiti a tanta distanza di tempo rientrino in Italia con una così tiepida accoglienza dei più, certamente non dei friulani. Ad accogliere quei poveri resti è il Tempio di Cargnacco, mai troppo conosciuto: la Redipuglia degli Alpini.
Il Friuli ringrazia e non dimentica, si scrisse sui muri della ricostruzione dopo il terremoto del 76. Il "modello Friuli", poi divenuto celebre nel mondo, si deve a molteplici fattori: la lungimiranza della politica e dei tecnici di allora che attribuirono ingenti risorse alla Regione e da questa ai sindaci. Si deve allo spirito indomito dei friulani, che vollero ricostruire prima le fabbriche e poi le case. Ma in prima linea, ancora una volta, furono proprio gli Alpini, quelli del Friuli e di tutta l'Italia, a rimboccarsi le maniche e mettersi subito al lavoro. Chiamati nuovamente a difendere la loro terra, stavolta si misurarono con un nemico ancora più feroce e più subdolo: era l'Orcolat, il mostro sismico che covava nelle viscere della terra.
In questo ultimo mezzo secolo ancora gli Alpini sono stati impegnati in ogni sorta di emergenza: dalle alluvioni, come in Valcanale e nel Pordenonese, all'emergenza generale del Covid. Non soltanto per questo, ma per tutto questo Friuli e Alpini sono una cosa sola. Un solo cuore grande come questa terra formidabile e irripetibile.
 

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