Social, la rivolta dei guardiani: «Noi, costretti a visionare stupri e decapitazioni». Causa contro Meta

Causa contro Meta da parte degli addetti alla segnalazione dei contenuti più tossici

Lunedì 22 Maggio 2023 di Chiara Bruschi
Social, la rivolta dei guardiani: «Noi, costretti a visionare stupri e decapitazioni». Causa contro Meta

LONDRA Per lavoro, guardava un video ogni 55 secondi, con l'obiettivo di rimuovere e categorizzare i contenuti più pericolosi. Ma non erano video qualsiasi, di dolci gattini o imprevisti divertenti, tutt'altro. «C'era di tutto, pornografia minorile, bestialità di ogni tipo, necrofilia, violenza contro persone e animali, stupri». E decapitazioni. Nella sua carriera, Trevin Brownie ha raccontato di averne viste almeno mille. Nel suo primo giorno di lavoro, ha confidato al Financial Times, ha vomitato dopo aver visto il video di un uomo che si suicidava davanti al figlio di tre anni. «Non vedi questi contenuti su Facebook perché ci siamo noi che li rimuoviamo», ha raccontato Brownie, sudafricano, che è una delle centinaia di persone quasi tutte ventenni reclutate alcuni anni fa da Sama, una società di San Francisco collegata a un centro di Nairobi, in Kenya, impegnato nella moderazione dei contenuti del social network di Meta.

LA DENUNCIA

Ora è uno dei 184 ex dipendenti che hanno deciso di portare avanti una causa contro Sama e Meta per violazione dei diritti umani e risoluzione illegale del contratto di lavoro.

Proprio come lavorare duramente nelle fabbriche o inalare polvere di carbone distruggeva i corpi dei lavoratori nell'era industriale, affermano i legali che sostengono la causa, così coloro che lavorano nell'officina digitale dei social media rischiano di avere la psiche danneggiata per sempre. «Queste sono questioni in prima linea per i diritti dei lavoratori di questa generazione», spiega Neema Mutemi, docente presso l'Università di Nairobi che sta aiutando a pubblicizzare il caso.

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GLI INVESTIMENTI

Negli ultimi anni Meta ha investito miliardi per eliminare e controllare i contenuti dannosi, assumendo 40mila persone in tutto il mondo, spesso tramite terze parti, e circa 15mila di queste sarebbero moderatori, secondo le stime del quotidiano britannico. Nel 2019, Meta ha chiesto a Sama di farsi carico della moderazione dei contenuti in lingua africana. L'azienda ha così assunto persone da Burundi, Ethiopia, Kenya, Somalia, Sudafrica e Uganda, offrendo loro un lavoro a Nairobi. Quattro anni dopo, però ha deciso di abbandonare il progetto, chiudendo il contratto con Facebook e licenziando il personale dedicato. Sono tre i casi aperti contro Meta in Kenya. Insieme, spiegano gli avvocati, queste tre cause hanno implicazioni potenzialmente globali che riguardano le condizioni di lavoro di questo «esercito nascosto di decine di migliaia di moderatori» impiegati per filtrare il materiale più tossico dei social media.

L'APRIPISTA

Daniel Motaung, moderatore sudafricano che lavora a Nairobi, è stato il primo a fare causa contro le due aziende, sostenendo di essere stato ingiustamente licenziato dopo aver cercato di formare un sindacato per fare pressioni per una migliore retribuzione e condizioni di lavoro. Motaung ha inoltre accusato di essere stato «attirato» nel lavoro con false promesse, ignaro di cosa esattamente ciò comportasse. Accuse ovviamente contestate da Sama, che ritiene di aver illustrato ampiamente il lavoro durante il processo di assunzione e formazione, aggiungendo che Motaung era stato licenziato perché aveva violato il codice di condotta dell'azienda. «Una volta che hai visto certe cose, non puoi tornare indietro. Molti di noi non riescono piu a dormire», racconta Kauna Ibrahim Malgwi, laureata in psicologia. Nigeriana, ha iniziato a lavorare a Nairobi nel 2019 e ora assume antidepressivi. «I poliziotti che investigano su casi di abusi di minori possono contare sul supporto di psichiatri spiega Cori Crider di Foxglove, studio legale no profit di Londra impegnato nella causa mentre i consulenti impiegati da Sama non erano qualificati per diagnosticare o trattare disturbi post-traumatici».

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IL PAGAMENTO

Nel 2020, Facebook ha accettato di pagare 52 milioni di dollari per risolvere una causa e fornire cure per la salute mentale ai moderatori di contenuti americani. In Irlanda, altri dipendenti hanno chiesto un risarcimento per conseguenze da stress post-traumatico. Ma i casi kenioti sono i primi depositati al di fuori degli Stati Uniti che cercano di cambiare, attraverso procedure giudiziarie, il modo in cui vengono gestiti i moderatori dei contenuti di Facebook. Se avranno successo, potrebbero portare al miglioramento delle condizioni di lavoro di tutto il settore. 

Ultimo aggiornamento: 06:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA